Racconti umoristici

La moneta d’oro. cap. VI

La moneta d’oro

La romantica e misteriosa città di New Orleans era rimasta straordinariamente e piacevolmente simile a quella dei suoi ricordi.

Papa Lemuel fu ben felice di ritrovare il quartiere francese al suo posto, le belle case colorate, Jeremy gradì molto musica, sigari e rum e Teresa sbirciò nei vicoli colorati con gli occhi pieni di meraviglia. Anche la bella casa dei Blackmore, una splendida villina bianca in perfetto stile belle epoquè, era rimasta intatta nonostante il rigoglioso giardino avesse cercato di soffocare le facciate e le finestre.

Lemuel fece accomodare i suoi ospiti in una magione che non aveva subito l’ingiuria del tempo ne le modernità ne avevano intaccato il fascino storico a loro così familiare. Il bel grammofono di suo padre funzionava ancora, tutti i dischi erano perfettamente conservati e, nonostante il pesante velo di polvere che ricopriva tutto, la casa non aveva subito modifiche o le barbarie dei vandali.

Jeremy pote ammirare la splendida collezione di musica jazz dell’amico che si prodigò a spiegare a chi appartenessero e chi li avesse incisi; ognuno di quei dischi era opera del padre che aveva fatto con la sua musica la fortuna della famiglia, ecco spiegato perché non se ne separasse mai portando i suoi preferiti con se nell’amato carrozzone che era stato trasportato in aereo fin lì come carico speciale; d’altronde alla famiglia Blackmore di certo non mancavano i soldi.

Si misero di buon impegno per rendere abitabile la villa perché non sapevano per quanto tempo sarebbero rimasti bloccati in quell’epoca bizzarra.

Lemuel pagò un gruppo di monelli incuriositi per ripulire il giardino ed aiutare in casa e non disdegnò di salutare con affetto i vicini che, increduli, osservavano le manovre dai porticati e dalle finestre. Papa Lemuel era tornato e la cosa non sarebbe passata certo inosservata.

Lasciate le faccende più ingombranti nelle mani dei ragazzi si misero alla ricerca di maman Rosalì e la trovarono a dirigere un bel ristorante per turisti nella zona più ricca della città; un monello di non più di dieci anni li accolse e li fece entrare, servì loro da bere e andò a chiamare la maman che colpì tutti per la bellezza ipnotica e l’amorevole gentilezza materna.

Maman Rosalie li accolse a braccia aperte, fece loro da mangiare un ottimo jumbo piccante e stette ad ascoltare la loro lunghissima storia con interesse crescente.

Pensò che il problema fosse troppo complesso per così poche menti e chiese il permesso di invitare due amici che si presentarono di lì a poco col nome di Cezanne Roqueforde ed Anne Marie Dumas, un uomo affascinante e dal sorriso enigmatico e una donna dall’aria feroce amante degli abiti maschili che baciò Rosalì appassionatamente.

Una volta messi al corrente dei fatti papa Cezanne fece notare che Lemuel aveva sentito una voce che non era quella del patrono e aveva loro permesso di sconfiggere gli uomini pipistrello, ma al loro ritorno non avevano più potuto tornare nel loro secolo; questo poteva essere un inganno dei nemici stellari che avevano loro permesso di viaggiare sulle tracce delle mostruosità della loro progenie per far perdere loro la rotta, se erano riusciti a sconfiggerli fino a quel momento potevano aver deciso che il modo migliore per vincere fosse rinunciare al trascinarli nella loro follia e abbandonarli al loro destino in un secolo a loro non familiare.

Era evidente che il viaggio per la ricerca di un luogo sicuro per il famigerato Libro di Dzyan fosse più un pretesto per darli in pasto alla progenie che, a quanto sembrava, il magnate Joseph Curwen serviva per ottenere il suo immenso potere e la sua innaturale lunghezza vitale; loro avevano sfruttato il libro per la loro conoscenza personale ed erano stati fortunati e molto caparbi nel non finire così nella trappola degli Ancitchi che, come tutte le potenze malvagie, bramava al possedere chi sfruttasse conoscenze e poteri che non erano di questo mondo; il potere era solo un’esca e loro erano stati molto abili a mangiare il verme lasciando libero l’amo.

D’altronde, fece notare maman Anne Marie, vi era un’altra possibilità, in quella voce irata Lemuel aveva riconosciuto il Barone.

Barone Samedi era, risaputamene per i suoi adepti e sacerdoti, facile all’ira e vendicativo, un Dio dei morti di grande potere ma anche di grande malizia e di una melliflua astuzia felina, nonché un fascino ultraterreno che si concedeva facilmente ad altre divinità femminili oltre a quella che aveva preso in sposa e a cui aveva giurato fedeltà, un giuramento che era stato rotto ben più di una volta da entrambe le parti nel folle carosello di passioni e tradimenti che era la vita ultraterrena degli antichi Dei del Voodoo.

Ma non capiva perché il Barone avesse risposto e non il più accondiscendente Legba.

Lemuel ebbe un fremito.

Il crocicchio.

Non si trovavano su nessun crocicchio quando aveva supplicato i Loa di aiutarli la notte in cui gli uomini pipistrello avevano assalito lo scantinato; gli incroci delle strade erano il punto di potere di Legba, senza di quello non operava, non ascoltava le preghiere, quindi Samedi aveva risposto in quel momento di bisogno, fra il sangue ed i morti, il suo regno.

Avevano fatto qualcosa che aveva offeso il Barone?

Fermando la venuta degli uomini pipistrello avevano sicuramente interrotto la storia e il flusso di anime umane che quei mostri stavano fornendo al regno dei morti, il regno di Samedi. Ma se fosse quello ciò che lo aveva tanto offeso perché aveva risposto al richiamo di aiuto; sarebbe stato ben più facile ignorarlo, forse c’era qualcos’altro.

Dovevano ricordare che il difetto più grande del Barone era la gelosia, avevano modo di credere di averlo fatto ingelosire in qualche modo? Magari attraverso Maman Brigitte, la sua favolosa sposa dalle libertine abitudini.

I nostri si arrovellarono sulle possibilità senza successo alcuno, ma a Teresa invece venne in mente un nome che avrebbe benissimo potuto rubare le attenzioni di una bella donna dai facili costumi in una notte di festa mentre le musiche erano alte e i balli sfrenati.

Mad Sweeney.

Il leprecauno folle sembrava ben capace di sedurre più di una bella donna la stessa notte e probabilmente non si era fatto sfuggire l’occasione in quella notte di passione che era stata la festa nella piccola chiesa riconsacrata ai Loa nella fredda e buia città di Inismouth.

Teresa fremeva di rabbia; non aveva ancora accettato del tutto Sweeny come compagno ma questo non la fermava da ribollire di una rabbia feroce. Bisognava trovare il modo di mettere lo scapestrato Dio del sole davanti alle proprie colpe o il Barone non avrebbe mai più mosso un dito per aiutarli a tornare al loro tempo e sulla loro strada.

I nuovi amici si offrirono di aiutare a riconciliarli col Barone; avrebbero potuto intercedere fra le parti in causa, papa Cezanne era uno dei pupilli della bella Erzulie così brava nel ridestare la pace fra i Loa, maman Anne Marie adorava lo stesso Barone da molto tempo ed era certa che sarebbe riuscita a farsi ascoltare e Rosaliè si proclamo, con un sorriso malizioso, una delle rarissime maman accettate di buon grado da Brigitte, la sposa di Samedi che accettava sotto la sua protezione solo maschi,oppure chi fosse capace di amarla e viziarla.

Serviva solo di trovare Mad Sweenwy.

Quel mascalzone sembrava non trovarsi mai troppo lontano dalla propria amata, e New Orlenase offriva un’ampia cerchia di divertimenti per un Dio irlandese incline ai vizi; Mad Sweeney poteva essere ovunque, ma Teresa strinse un oggetto piatto metallico e circolare che trovò casualmente nel fondo della tasca mentre stringeva i pugni. Afferrò l’oggetto e scoprì essere una moneta d’oro.

Sweeney gliela aveva donata per ogni esigenza quando erano spersi per le strade di New York.

La moneta vibrava.

La moneta poteva guidarla da Sweeney. Era ormai sera tarda quando i tre uscirono dal ristorante di Rosaliè ringraziando e promettendo di tornare presto con l’irlandese e si gettarono a capofitto nei vicoli notturni di New Orleanse che vibravano di vita e di musica.

Visi neri e occhi bianchi li osservavano dal fondo di vicoli bui e irracomandabili odorosi di urine e febbricitanti di droga e la cacofonia musicale riempiva loro le orecchie mentre seguivano veloci Teresa fremente rabbia.

Quando arrivarono ad una casa di malaffare non si stupirono, Lemuel pagò la tenutrice per non far disturbare la coppia e la sicura lite che ne sarebbe nata e osservò Teresa prendere le strette scale affollate di prostitute discinte e i loro clienti.

Quando Teresa trovò la porta giusta la moneta vibrava come colpita da una pallottola mentre dall’altra parte del legno sottile dipinto di bianco poteva ben sentire le voci discinte di diverse donne e quella di un farabutto irlandese.

La porta quasi esplose quando venne aperta con un calcio e la scena impagabile che Morrigan si trovò davanti la fece quasi ridere, ma a Mad Sweeney non servì cercare di lanciarsi dalla finestra perché la presa ferrea dell’amata lo trascinò dentro e lo portò per i capelli fin fuori dalla sudicia struttura fra le grida e le suppliche frignanti dell’uomo che, dal barbaro virile che era sempre stato si fece piccolo piccolo sotto le grida furibonde dell’amata.

Il leprecauno ammise in frettale proprie colpe fra mille balbettii, evidentemente battaglie morte sangue e indicibili orrori non erano capaci di spaventare il Dio quanto lo erano gli occhi di fuoco di Morrigan.

Quando Teresa si era abbandonata al sonno quella notte, sfinita dai balli e dai canti, la donna bianca dagli occhi verdi e delle provocanti vesti caraibiche lo aveva rapidamente sedotto e aveva passato il resto della nottata in sua compagnia; la presenza di una donna bianca in un pantheon di divinità di negri lo aveva incuriosito ma non impensierito e Lemuel dovette spiegare che, nonostante le aspettative Maman Brigitte era bianca.

Venendo portato sul retro del ristorante di Rosaliè l’irlandese era stato docile e non aveva cercato ulteriori scuse e fu, nonostante i suoi modi da bambino aspramente rimproverato, trattato con grande rispetto dalle maman e dal bochor presenti che lo invitarono a sedersi con loro attorno ai preparativi per il rituale di riconciliazione.

Jeremy, che aveva riso tutto il tempo sotto i baffi della baruffa fra i due amanti, si approcciò a quell’insolito spettacolo con curiosa allegria e grande attenzione mentre Teresa chiese se dovesse intercedere per il gruppo e non fu lieta di sapere che era ritenuto indispensabile.

Un’altra azione per cui Sweeny avrebbe dovuto pagare.

Le voci e le litanie si alzarono e riempirono l’aria, i profumi degli incensi, il fumo dei sigari si mischiarono in una fitta nebbia odorosa che fece girare la testa a Teresa a lungo finché non percepì di essere in altro luogo. Quando aprì gli occhi si trovò in una grande stanza riccamente decorata; le sete e gli arazzi ricoprivano le pareti di avorio bianco e in terra tappeti colorati e grandi cuscini coprivano il pavimento a perdita d’occhio; ma non fu quello a impressionare Teresa, bensì i piatti e le stoviglie che volavano da una parte all’altra della stanza accompagnate dalle urla inferocite di una splendida donna bianca dagli abbaglianti occhi verdi dal vestire ricco e succinto e le imprecazioni di un uomo negro di splendido aspetto magro ed alto che, in risposta, inveiva in un francese che, nonostante non lo comprendesse, si poteva ben intuire quanto fosse volgare. In un angolo, seduto a fumare, Papa Legba osservava abbattuto i due sposi che litigavano furiosamente e fu l’unico ad accoglierla con un cenno di benvenuto quando incrociò il suo sguardo.

Morrigan cercò di presentarsi nella la baruffa quando, distratti dalla sua voce, i due sposi si voltarono verso di lei notando subito l’irlandese matto dietro Morrigan che li osservava con divertito stupore.

Morrigan fece appena a tempo a scansarsi mentre il Barone si scagliava contro il leprecauno.

La lotta che ne seguì sotto i loro occhi fu piena di rabbia e di risentimento da parte della divinità voodoo e di sincero stupore e alterate spiegazioni da parte di Sweeney.

Maman Brigitte si sdraiò, lascivamente, su un lussuoso sofà di velluto ad osservare la lotta dei suoi due amanti e sorrise benevolmente a Morrigan mentre i due uomini cercavano di redimere la situazione.

Mad Sweenwy non era certo uomo da tirarsi indietro da una rissa, i leprecauni sono famosi per il loro amore per alcol, la violenza e la potenza dei loro pugni, ma il Barone era un temibile e agguerrito avversario.

La cosa andò avanti per un bel pezzo sotto gli occhi stupiti e divertiti di Lemuel e Jeremy che osservavano oltre la polla d’acqua, nel comodo salotto di maman Rosalì.

Dopo un tempo che parve infinito la lotta tra le due divinità terminò senza che ci fosse un vincitore, vendetta era fatta, tanto bastava a Samedi che ci mise poco a rendersi nuovamente presentabile e baciare la mano di Morrigan ringraziandola per il gentile pensiero di portare da loro l’amato per chiarificare una situazione tanto delicata. Mad Sweeney commento che era stata delicata un corno ma venne messo a tacere da un gesto della sua sposa secondo la quale il leprecauno aveva già combinato abbastanza guai.

Il Barone si proclamò ben felice di riaprire per loro i passaggi e la strada che stavano percorrendo, nel tempo e nello spazio, prima di venir interrotti dalle azioni sconsiderate del focoso irlandese.

Quando Teresa tornò ospite del proprio corpo furono le risate ad accoglierla.

Jeremy stava ridendo come mai prima, e come dargli torto.

La baruffa era stata risolta con qualche livido sulla faccia di Sweeney e un aspro rimprovero da parte di Morrigan e il Barone non avrebbe più interferito con i loro affari.

Ma nemmeno li avrebbe aiutati.

Non esisteva un rituale, una preghiera, nulla che permettesse il viaggio spazio temporale, quella era fantascienza, o il potere di creature antiche come le stelle, non certo un potere degli uomini. Barone Samedì si era limitato a chiudere quei portali, ma non era stato lui ad aprirli.

Maman Rosalì promise che avrebbe trovato lei una soluzione, ma bisognava darle tempo.

Così Jeremy, Lemuel e Teresa approfittarono del tempo concesso per restaurare la bella casa di famiglia dei Blackmore; estirparono le erbacce, tagliarono i rovi, spazzarono e pulirono con l’aiuto dei monelli del quartiere ai quali Lemuel offri loro un rifugio sicuro nell’amplio capanno degli attrezzi in giardino, una casina in legno bianco che bastava svuotare per recuperarne una splendida tana per bambini ed adolescenti. Ma le belle azioni no finirono lì: vi era il vicinato, vicini che uno dopo l’altro, come un torrente dopo la rottura di una diga portarono timballi freddi e caldi, torte, sformati, insalate di patate, bottiglie di sciroppo e mille altre ghiottonerie. Doni di benvenuto.

Tutto l’occorrente per una festa.

La serata nella magione Blackmore ritornata alla vita fu bella e accogliente; il vicinato era, felice ed onorato di veder tornare un bokor nel quartiere e Lemuel non si lesinò in aiuti, discorsi, pozioni, suggerimenti anche nei gironi successivi. La sua saggezza, la profonda conoscenza della magia e della volontà degli Dei fece tornare il sorriso su molto volti e l’orgoglio nel cuore di Lemuel.

Jeremy invece trovò, nei suoi pellegrinaggi turistici per la bella città qualcosa da acquistare con tutti i soldi accumulati a New York; una casetta, che fece divenire sala prove per le bande del quartiere, sala di registrazione e casa sua. Un tempio a Ogan Sih Wedo, spiegò agli amici, un tempio di musica per un loa antico e dimenticato a cui Jeremy Freeman doveva molto, la fedeltà ad esempio.

I giorni passarono felici nel profondo sud, il dolce chiaccericcio di Teresa e Sweeney era divenuto rumore casalingo; in salotto a guardare film e mangiare leccornie, nel bel giardino che si riempiva del rosso e dell’oro dell’Autunno, nella veranda, sul tetto sotto la luce lattea della luna. Teresa era divertita dal leprecauno, ed intenerita e combattuta; non provava il forte sentimento che Sweeney provava per lei ma capiva che lui era perdutamente innamorato, e non poteva far a meno di chiedersi quante delle sue reincarnazioni avesse inseguito e corteggiato nei secoli. Quante volte il Re del sole era stato respinto? Quante volte invece l’aveva portata a nozze? Quante volte non l’aveva trovata? Quante volte era arrivato troppo tardi?

Si fece raccontare le sue vite precedenti, le loro vite insieme, ma sopratutto come erano finiti a questo?

L’amante spiegò con un sospiro pesante che lei lo aveva fatto per punirlo. Aveva preso la via della reincarnazione per obbligarlo ad un’eterna cerca ed espiare i suoi peccati, il sole che insegue la lontana e bianca luna; ma non ricordava cosa avesse fatto per indispettirla tanto. La storia si perdeva tra i fumi del tempo e Sweeney, le ricordava, era matto, e i matti non hanno memoria.

Così passò Ottobre e arrivò la notte più misteriosa dell’anno, Halloween.

La festa era molto sentita a New Orleanse e molto cara ai fedeli del Voodoo; era la notte in cui i fedeli potevano danzare con gli spiriti dei loro loa, la notte in cui il Barone Samedì apriva i cancelli ed i passaggi fra questo e l’altro mondo; una notte di festa liturgica, una notte pregna di magia.

Lemuel pagò cifre incredibili per imbandire la casa e l’automobile affidandole nelle mani di esperti cartapestai e addobbatori, tutti noleggiarono un abito adatto fra i più costosi e belli che le botteghe di costumi potevano offrire e, fra l’arancione delle zucche e la nebbia viscosa portata dalla palude la notte magica giunse.

E con al nebbia e le zucche si presentò alla loro porta Maman Brigitte.

Con ricche vesti decorate e sensuali, un fiume di pizi, perle e fiori di carta profumata fra i capelli era Rosalì che portava in terra la figura della sua signora. Ma non era sola, davanti a lei un bel bambino bianco dagli occhi attenti e penetranti di non più di otto anni porse un cesto di dolcetti, accompagnati da un bel sorriso a Lemuel.

La notte era lunga e piena di cose da fare e da vedere; c’era la cena cerimoniale con tutti i bokor e le maman della città (più una grande festa con molto alcol a sentire Rosalì), vi era la sfilata dei carri, gli spettacoli da vedere, i dolcetti da elargire ma, ultima eppure più importante, la grande cerimonia in onore dei loa dove sarebbe stata scelta la regina o il Re dei cerimonieri annuale. E poi c’era questo bimbo. Il fanciullo venne presentato come Randolph Carter, non era di New Orleanse ma di Boston, portava un vestitino di velluto con grandi merletti tipico dei figli della gente per bene dell’America del 1600, possedeva immensi poteri magici, aveva bisogno di essere protetto e aveva trentasette anni.