Racconti umoristici

La musica di Erich Zann, e altri racconti. cap.III

Terzo e penultimo capitolo della nostra avventura dai temi lovecraftiani.

Capitolo 3.

La musica di Erich Zann

La sera stessa il sergente andò a ritirare la propria motocicletta alla stazione di Londra dove il vecchio Greg aveva promesso di inviargliela, trovò, in una delle sacche, una lettera scritta di pugno dal sindaco della valle di Humberland, che li invitava a intervenire nella festa che si sarebbe svolta, in loro onore, la sera dopo; inutile dire quanto il sindaco si prodigasse in ringraziamenti e suppliche per la loro presenza.

Fù con reticenza che il tenente accettò di tornare nello sperduto paesino ma, come vedremo, il viaggio gli verrà presto gradito.

Prima della partenza furono fermati dall’uomo di chiesa conosciuto il giorno prima dal tenente Clark che ci teneva ad informarlo delle proprie ricerche; era riuscito a trovare una pista sullo strano pittore descrittogli, avrebbe continuato a seguire la traccia e li avrebbe tenuti informati sugli eventi.

Giunti li nel primo pomeriggio del giorno dopo, noleggiando un piccolo veicolo di stampo militare, i nostri vennero accolti con tutti gli onori.

Il paesino era stato ornato a festa, tutte le luci accese sulle strade e nelle case, una banda suonava allegramente, ghirlande di biancospino e nastri ornavano le vie innevate e nella piazza principale i sollevati abitanti acclamarono i propri eroi fra esclamazioni di gaudio e dimostrazioni di affetto, soprattutto verso il dottor Clark e il sergente che vennero tirati negli sfrenati balli dalle allegre giovani vestite a festa. Il professor Rock non ci mise molto a trovare le simpatie dei più gioviali fra gli uomini con cui strinse presto amicizia, agevolata dalle innumerevoli pinte di alcol che gli vennero offerte.

Fù il giovane agente Saean a trovare un sentimento molto simile all’amore in una giovanissima ragazza di nome Marì che venne spinta fra le sue braccia dall’insistente madre, con lei passò la serata e vi trovò una giovane dolce e ingenua ma di una purezza che mai Sean aveva trovato in altre nell’affollata America.

La targa promessa loro dal sindaco venne incisa e infissa al centro della pizza e così recitava: “Ai nostri eroi d’oltreoceano che debellarono l’orrore di Hexam che da sempre incombeva su di noi, dai cittadini, grazie”

I nomi vennero incisi e ben lucidati, tranne quello dell’irlandese che decise, per eccessiva paranoia ne confronti del luogo, non diede il suo vero nome.

I nostri portarono qualcosa con loro il girono dopo al ritorno; la giovine ed furba locandiera Janet che aveva trovato la sera prima nel tenente un valido pretendente e la promessa di una vita coniugale a New York appena i fatti di quella imprevedibile avventura sarebbero giunti al termine.

A Londra non persero tempo, documenti e biglietti aerei vennero fatti all’ambasciata per poi dirigersi subito dopo all’aeroporto dove Clark salutò la sua promessa affidandole le chiavi del proprio appartamento e l’indirizzo dell’ospedale dove lavorava dove si era premunito, per telefono, di trovarle un lavoro da infermiera.

Promettendosi reciprocamente fiducia i due novelli fidanzati si separarono e i nostri presero il primo volo per Parigi.

Vi arrivarono alle prime ombre della tarda sera e vennero ben presto trascinati dal sergente in una locanda dove l’avventore si sarebbe ricordato di lui per l’amicizia sotto le armi durante la guerra.

Ma vennero distratti da due singolari e inquietanti eventi.

Clark cercava con gli occhi locandine sui muri che pubblicizzassero Erich Zann come violoncellista in qualche teatro o cabaret ma trovò invece, in un lungo e sudicio vicolo che si aprì inaspettatamente alla sua destra, una moltitudine di piccole teste nere, schiene lustre e code. Per l’intero vicolo, fino al fondo, un numero imprecisabile di ratti rimaneva, immobile, a fissarlo.

Le orrende creature squittivano e soffiavano nella sua direzione in un lampeggiare di piccoli occhi lucenti grossi come luminose capocchie di spillo.

Il sergente ricordò una promessa fattagli pochi giorni addietro, si concentrò e provò a ricreare quel legame che aveva stretto nelle abiette strade di Crouch End.

Quando riaprì gli occhi un luminoso occhio verde smeraldo gli ricambiò lo sguardo nella lontananza del capo opposto del sudicio vicolo infestato.

I famelici ratti si diedero ad una pazza fuga appena arrivò alle loro piccole orecchie lo stridente miagolio di Niggher-man e, come erano giunti, i grandi occhi verdi si richiusero, scomparendo nel profondo buio di Parigi.

“Hai tuoi ordini, doc.”

Alle loro spalle un borbottio sommesso, in un francese brutto e malsano, attirò l’attenzione di Puthnam. Un colosso si stava allontanando da loro, pareva cercasse qualcosa senza trovarlo; lo sproporzionato cranio calvo ciondolava su due mastodontiche spalle percorso dalla fronte fino alla base del collo da una sgradevole cicatrice che ricordava, agli occhi esperti del dottore, un colpo di martello.

Incuriositi e guardinghi seguirono quella sgraziata e abnorme creatura che, ben presto, convinse il sergente che li stesse portando in una trappola; così si scoprì il petto, mostrando il motto della compagnia militare alle ombre di Parigi

“Rendez vous col destino”, recitava.

Il gesto attirò l’attenzione del gigante che si fermò, annusò l’aria e si voltò con pachidermica lentezza provocando nel professore e nel giovane Sean un brivido di paura e ribrezzo.

L’uomo sorrise, di un sorriso malato e folle, al sergente e impugnò un enorme martello da ferrovia appoggiato ad una parete.

“Bienvenue à Paris!” affermò con un ghigno rivolto al sergente sollevando il terrificante martello.

Non fù uno scontro facile e Puthnam credette più volte di lasciarci la vita; l’uomo era incredibilmente robusto e tenace, nonostante gli innumerevoli colpi a gambe e braccia non desistette, neppure sotto gli innumerevoli colpi di pistola dei nostri finché il dottore non lo colpì ripetutamente sulla grossa cicatrice col calcio della pistola sperando così di risvegliare un vecchio trauma cranico mentre Sean teneva il gigante impegnato aggrappato alle sue erculee spalle.

La tecnica funzionò e il gigante crollò in terra rantolante.

Fù con orrore che gli uomini lo sentirono pregare, fra i gorgoglii, una preghiera blasfema a nessun dio conosciuto

“Nella Sua casa in R’lyeh il morto Chtulhu attende sognando, eppure Egli risorgerà e il Suo regno coprirà la terra. Eppure, Egli verrà a te nel sonno e ti mostrerà il Suo segno con cui tu schiuderai i segreti del profondo. Non è morto ciò che in eterno può mentire, ma con il passare di strani Eoni anche la morte può morire”

Non c’era niente di buono o di sacro in quelle parole, egli puzzava di acqua immota e salmastra e lasciò questo mondo per pietà del dottore con un proiettile alla testa per sprofondare fra le braccia di chissà quale inferno acquatico.

Spogliato l’uomo dei suoi averi per trovare indizi sul mandante di quell’assassino fù sul petto che trovarono, tatuati, strani simboli che, riportati sul Necronomicon, si ricollegavano ad una divinità abissale nominata Grande Chtulhu che attende negli abissi marini.

Turbati dall’incontro si diressero, dato ormai la tarda ora, alla locanda condotti da Puthnam. Fù in quel momento che Rock notò su di un muro la locandina, vecchia e rovinata, che pubblicizzava il concerto settimanale per viola preseduto dal maestro Erich Zann e la strappò dal muro.

In locanda vennero ben accolti dal locandiere Jaques che ben ricordava l’amico americano e li trattò con tutti gli onori riempiendo i loro piatti di lumache e pane bianco.

Il girono dopo passarono la mattinata ed il pomeriggio divisi a gruppi di due; il sergente si prese cura del giovane irlandese mentre Clark e il dottore cercarono una libreria indicata loro dall’amico londinese dove una compita signora li accolse e ascoltò la loro ricerca ma non seppe come aiutarli; d’altronde alle domande insistenti su Erich Zann seppe dare delle informazioni; Zann era un genio musicale, un grande compositore, ma anziano e tormentato da molti demoni aveva dovuto lasciare i grandi teatri per accontentarsi di platee più modeste nei vicoli parigini. Consigliò loro di avvicinarlo con cautela e gentilezza dato che l’anziano era risaputamene introverso e estremamente geloso della propria privacy.

Fù meno fruttuoso ma più interessante quello che capitò al sergente e Sean; Jaques consigliò loro di visitare uno dei tanti teatri di ballerine della città e indicò loro la strada per arrivare a quello che era, senza dubbio, il suo preferito.

Nessuno dei due aveva mai visitato il Moulin Rouge e rimasero molto colpiti dalla sfarzosità del teatro e dalla struggente bellezza delle ballerine. Uno sfrenato tango si stava consumando sul palco sotto i loro occhi e la passione crudele del ballo li colpì molto, soprattutto Puthnam che ne approfittò per cercare la prima ballerina dietro le quinte che trovò ben presto in lacrime accostata ai retroscena.

Lasciamo il sergente alle sue avventure amorose e concentriamoci su quel che successe al giovane Sean che notò nella penombra di un tavolino un piccolo omino che piangeva disperatamente. Avvicinatoglisi questo, incentivato da un bicchiere di whisky, raccontò al giovane uomo la storia che lo tormentava e che lo sfrenato tango appena visto lo aveva oltremodo turbato ricordandogli la più triste delle storie d’amore che vedeva protagonisti il più caro dei suoi amici e la prima ballerina del Moulin Rouge.

Sean rimase molto colpito dall’incontro e dalla storia che gli spezzò il cuore e propose al nano il proprio aiuto per risolvere la tragica storia d’amore, la proposta sembrò alleviare le sofferenze del piccolo uomo che si allontanò in un mare di sorrisi e ringraziamenti.

Puthnam, intanto, aveva conosciuto il direttore del teatro che lo aveva messo vivacemente in guardia contro Mariè, la donna che lo aveva appena sedotto ed alleggerito il portafoglio; ma il sergente non sembrava turbato dall’accaduto tanto quanto dallo stato del teatro che, ad occhi più attenti, doveva essere in un brutto momento di crisi dopo il passaggio delle brutali uniformi tedesche nella città delle luci.

Si propose quindi di acquistare una percentuale del teatro offrendo dollari americani, sperando così di procurarsi una pensione per la vecchiaia; inutile dire quanto il proprietario fù entusiasta della cosa mandando a chiamare subito un notaio per cedere al signore il 12% e ½ degli incassi del teatro in cambio di 2.000$ in contanti che il sergente teneva al sicuro sulla sua persona.

Fù con turbamento, infine, che Sean, alla ricerca del nuovo piccolo amico, scoprì un’inquietante verità, il nuovo socio di Puthnam lo informò, ridendo, che il nano che cercava con tanta insistenza si chiamava Toulouse ed era un grande pittore all’epoca della Bell Époque, momento storico di fervente crescita artistica e culturale per l’Europa spentosi il secolo precedente.

Sean aveva incontrato il suo primo fantasma.

Rincontratisi tutti alla locanda del buon Jaques i nostri si prepararono per il concerto di quella sera acquistando abiti nuovi e puliti e muovendosi verso il piccolo teatro indicato dalla locandina trovata la notte prima.

Il teatro era piccolo e cadente e non sembrava meritare la bravura di Zann che, salito sul palco attorniato dagli adoranti colleghi, suonò per lo scarno, ma caloroso, pubblico melodie di grande maestria con magre dita agili e una concentrazione che sfiorava la catarsi. Se la musica non incantò i nostri fù l’atteggiamento del vecchio suonatore a colpirli, egli suonava ad occhi chiusi dando sfogo al proprio tormento in un’estasi sinfonica che prevedeva solo se stesso e il proprio sciupato violoncello.

Terminata la performance e accettati i calorosi applausi, l’anziano scese dal palco senza dire una parola ed uscì dal teatro nel freddo buio della notte prontamente seguito da Clark e gli altri.

L’anziano li portò a scoprire una strana stradina al di là di un fetido fiume; la strada si inerpicava in salita fra case antiche e malconce, arcuate e storte che in alcuni punti addirittura si toccavano creando sopra le loro teste archi bislacchi.

Fù all’inizio di questa inquietante strada obliqua che intercettarono il vecchio e fu sempre li che si accorsero di quanto la libraria avesse ragione su di lui e sulla sua eccentrica chiusura, ma soprattutto dalla sua mutezza. Erich Zann era muto dalla nascita.

Dopo il primo momento di sconcerto riuscirono ad instaurare un dialogo in lingua tedesca alla quale il muto rispose scrivendo su di un piccolo taccuino e riuscirono a farsi invitare nel suo appartamento per sentire, in privato, la sua meravigliosa musica.

L’appartamento di Zann era l’ultimo alla fine di quella tortuosa e lugubre salita che terminava in un alto muro coperto di pietra. L’appartamento dell’anziano musicista era all’ultimo piano e affacciava all’altra parte del muro.

Salite le malconce scale l’appartamento si presentò ai loro occhi spoglio fino alla povertà e sciatto come solo l’appartamento di un vecchio instabile di mente potrebbe essere. Il sergente fù mosso a pietà dalla situazione di questo docile vecchietto e cominciò a dare una pulita al pavimento polveroso e coperto di spariti e a scacciare le insidiose ragnatele dalle travi del tetto.

Erich Zann così cominciò a suonare per loro.

Una melodia dolce ed allegra che rapì l’anziano violoncellista in un idillio di pace, la musica del malandato violoncello riempì l’aria e sembrò presto risvegliare qualcosa perché dietro una coltre di pesanti tende impolverate un suono basso ed imperioso, richiamò il musicista alla realtà.

Zann venne sbalzato bruscamente fuori da quello stato di beatitudine che la sua musica gli induceva, sbarrò gli occhi azzurri e fù con una smorfia di paura che si rimise a suonare, ma la nuova sinfonia niente aveva di leggiadro e pacifico, anzi pareva una musica scatenata dalla fine del mondo. L’omino muoveva abilmente le dita e l’archetto compiva ampli movimenti lungo le corde dello strumento, le dita fenetiche tremavano e gli occhi sbarrati imponevano uno stato di profondo terrore a quel viso stanco e rugoso.

Quando il sergente si mosse verso la tenda per scostare le tende e vedere chi turbasse tanto il povero vecchio Zann buttò in terra lo strumento e si precipitò a fermarlo disperatamente.

Il suono smise di turbare le loro orecchie e il sergente accontentò le suppliche del povero vecchio allontanandosi dalle tende. Quando chiesero cosa fosse quel suono l’uomo scribacchiò in tutta fretta su di un taccuino “i miei demoni” e non seppe spiegarsi in altro modo cosa lo terrorizzasse tanto. Clark esaminò senza farsi notare la stanza e riuscì a scorgere, nell’angolo formato dall’incontro di due muri storti e gibbosi, una scritta che si ripeteva ossessivamente lungo tutto lo spigolo convesso.

Hasturn.

Ma di nuovo quella nota imperiosa richiamò le attenzioni di Zann che cercò di convincere i suoi ospiti ad andarsene in tutta fretta, ma gli uomini non si mossero provocando la disperazione nel pover’uomo. Zann si mise a spingere i nostri fuori dalla porta con le sue deboli forze cercando di scrivere che c’era troppo pericolo per loro a rimanere li. Il sergente, per quanto il cuore gli si spezzasse per la pietà che il debole vecchio gli incuteva puntò i piedi e non si lasciò scacciare oltre la porta, le delicate mani del violoncellista trovarono un solido muro nel petto di Putnahm fino a provocarne il pianto disperato e il cieco terrore per le conseguenze di ciò che sarebbe successo se gli ospiti avessero insistito ulteriormente a scoprire l’identità di quel suono che, imperioso, con quell’unica nota crudele fece correre Zann a raccogliere il violoncello da terra e a mettersi furiosamente a suonare per, ormai era chiaro, coprire quella nota con il semplice rumore dello strumento.

Il sergente, determinato nello scoprire quel mistero e dare sollievo al povero vecchio aprì le tende e quello che vide oltre la povera finestra di legno lo paralizzò provocando un sussulto di sgomento e terrore nel giovane Sean dietro di lui.

Oltre la finestra, dove dovevano esserci le belle luci di Parigi, c’era il nulla.

Un totale completo nulla riempiva con la sua assenza lo spazio al di fuori della finestra di Zann; un vento innaturale e vorticoso percorreva quell’infinito buio portando alle loro orecchie quella nota crudele che aveva portato alla follia il violoncellista disperato.

La nota pareva sfidare, alle sue orecchie, il sergente; irrispettosa e folle.

Nel centro del buio cosmico un puntino di colore non sfuggi agli occhi attenti del sergente. Una creatura, di una distanza infinita, abnorme e tentacolare, mandava quell’unica nota. Puthnam non ebbe esitazioni, furioso per quell’irriverenza beffarda, per la crudeltà riservata a quel povero vecchio indifeso, tracciò con furia uno dei sigilli sullo stipite della finestra e quella, istantaneamente si chiuse con un botto che risuonò come una fucilata nella piccola stanza.

Le tende smisero di scuotersi al vento e ricaddero molli sul pavimento, gli innumerevoli spartiti smisero di volare in spirali per la stanza nella loro danza disarmonica e Zann smise di suonare; gli occhi sbarrati dall’incredulità si alzarono verso il sergente che gli fece capire rassicurante che non aveva più nulla da preoccuparsi; i suoi demoni erano stati scacciati, oltre il vetro della finestra solo Parigi rigettava le sue dolci luci.

Zann, il muto Zann, abbracciandosi al violoncello, pianse; disperatamente, silenziosamente, pianse; di sollievo, di gioia, di infinita riconoscenza.

Pianse.

Fù in quel momento che il tenente, mentre Sean consolava il povero vecchio, notò un libro sul pavimento prima coperto di fogli ingialliti.

Il libro era “Lo strano caso di Charles Dexter Ward” dello scrittore H.P. Lovecraft.

Leggere il voluminoso libro, o almeno intuirne la trama, richiese qualche girono al tenente che arrivò a comprendere con orrore di che storia il libro parlasse e fù con reticenza che ne raccontò ai propri compagni.

Dexter Whard era un giovane appassionato di storia e di cose antiche che consumavano completamente tutto il suo tempo libero e le sue passioni, passioni che divennero troppo insistenti quando il giovane scoprì una discendenza con un illustre personaggio proveniente dalla lontana Providence; il ragazzo, incuriosito, cominciò a indagare sue quello che era il proprio nonno materno fino ad acquistarne la vecchia magione abbandonata dalla famiglia e ad acquistarne tutti gli averi incluso un grande quadro che ritraeva il consanguineo a figura intera.

Presto il ragazzo si sentì sempre più attratto dalla misteriosa figura e dagli studi che il vecchio aveva seguito con tanto interesse, studi ultraterreni che avevano, con altrettanta passione, preso all’epoca il vecchio fin da inimicarsi l’intera cittadina di Providence che, spaventata ed inquietata dagli atroci suoni che giungevano dal granaio della magione, dalla continua sparizione di marinai di origine negra che varcavano la soglia della proprietà per non essere mai più rivisti e dall’inquietante comportamento schivo del vecchio che aveva obbligato la giovanissima moglie all’eremitaggio, avevano infine deciso di scoprire cosa il vecchio imperscrutabile nascondesse alla comunità con tanta tenacia. Ciò che avevano scoperto aveva gettato i prodi uomini incaricati della missione in una lotta senza quartiere con creature abnormi in fuga dalla struttura che era il granaio trasformata in laboratorio e prigione per le immonde creature che uscivano dagli abominevoli esperimenti alchemici del vegliardo.

L’uomo aveva giocato con forze naturali con cui l’essere umano non dovrebbe avere a che fare, forzando la natura al proprio volere per ricercare il più grande, e atroce, dono che le divinità celesti decisero di strappare agli uomini millenni prima, forse in un gesto di pietà.

l’immortalità.

Più il giovane Charles scopriva e studiava il vegliardo più somigliava a lui, abitudini che non aveva mai avuto, assolutamente insulse e insane per un giovine della sua età, si insinuarono nella sua routine come se il ragazzo stesse imitando il bisnonno in un grottesco ed estremo fanatismo.

Quando a vent’anni decise di intraprendere un viaggio in Europa sulle tracce degli studi del nonno nessuno, né gli amici, né i genitori addolorati, riuscirono a fermarlo nei suoi propositi quando, un anno dopo, il ragazzo tornò dal suo viaggio di ricerca era divenuto irriconoscibile, così simile ormai al vecchio odioso da cui discendeva e così lontano ormai dal dolce giovane impacciato e timido che gli affranti genitori ben conoscevano. Del dolce Charles Dexter Ward non rimaneva più che il ricordo dato che il ragazzo era divenuto, in tutto e per tutto, il bisnonno; l’alchimista, macchiato dei più terribili peccati contro Dio e contro l’umanità, che aveva corrotto la sua anima donandola a oscure divinità malvagie con nomi contorti e crudeli; l’uomo che con alchimia ed esoterismo era riuscito a comprendere il segreto della vita eterna.

L’uomo di nome Joseph Curwen.