Il Colore venuto dallo Spazio. cap. III°
Il Colore venuto dallo Spazio
Nuotare e risalire in superficie non fu difficile per Teresa e papa Lemuel, nemmeno per il ginocchio zoppo di Freeman; più difficile fu risalire l’antico pozzo di pietra in cui si ritrovarono.
Fuori dal pozzo la buia campagna aperta si stendeva da tutte le parti fino ad una fitta foresta di lecci e querce.
La luna brillava lattea nel cielo e una bianca fattoria risplendeva poco lontano da loro.
Le luci nel casale si accesero all’abbaiare insistente di un cane che li aveva scoperti uscire alla luce lunare.
Un secondo chiarore, più fievole ma più interessante, brillava dietro di loro. Qualcosa aveva smosso una gran quantità di terra dalle parti del pozzo e pulsava di una debole luce dai colori irriconoscibili nella terra calda.
Il fattore si avvicinò loro portando una lanterna e rimase molto stupito di sapere dai tre che, girando di notte per le sue terre, erano caduti accidentalmente, e molto sbadatamente, dentro al suo pozzo dopo aver fatto incidente con la macchina che non ricordavano dove potesse essere.
La mente semplice e tutt’altro che maliziosa di Nathan Gardner credette alle loro parole e li ospitò calorosamente nella propria casa. La modesta moglie, Zenas Gardner, li accolse con zuppa calda e caffè mentre i due figli di sette e quattordici anni, il piccolo Merwin e Taddeus, li sbirciavano curiosi dalle scale.
Quello non sembrava affatto il 1·932; il camino, la lanterna ad olio, i vestiti castigati della signora Gardner. Jeremy chiese, con molta cautela, in che anno si trovassero e fu con stupore che gli venne risposto il 1·892.
Gardner chiese loro se erano giunti fin lì per vedere il meteorite.
Jeremy, prontamente, raccontò a Gardner e signora che erano inglesi e che sì, lui, la sua fidanzata e il loro servitore di famiglia Lemuel erano effettivamente arrivati fin lì, nel cuore della notte, incuriositi dalla caduta del meteorite. Papa Lemuel grugnì piano alla parola “servitore” ma mantenne un riserbato e dignitosissimo silenzio.
Gardner e famiglia insistettero per farli dormire ed ospitarli per tutto il tempo che avessero ritenuto necessario; così i nostri quella notte dormirono sulla calda paglia del fienile al chiuso e fu con molto stupore e gran sollievo che il giorno dopo scoprirono l’automobile e il carrozzone di Lemuel parcheggiati sul crocicchio dietro la fattoria.
Il meteorite non era meno inquietante alla luce del giorno; emanava una luminescenza debole e di un colore non descrivibile che sembrava ora rosa, ora violetto ora color della sabbia o grigio polvere; la terra attorno al sasso spaziale era ancora calda e soffice dall’impatto e nessuno se la sentiva di toccarne la superficie dall’aspetto gommoso e metallico.
La fattoria dei Gardner non era distante da una cittadina universitaria nominata Arkham dalla quale, quel pomeriggio, sarebbero giunti dei professori per studiare lo strano sasso. Jeremy e compagni decisero di fare la mossa contraria e visitare Arkham che si rivelò un’antica cittadina in legno e pietra dall’aspetto tipico dei villaggi inglesi dei primi coloni.
Fecero compere, acquistarono vestiti adeguati all’epoca, cappelli e cibarie per la famiglia dei Gardner e tornarono a sera; gli universitari erano venuti, avevano asportato una sezione di meteorite ed erano stati molto severi nell’ammonire la famiglia sul non toccare il meteorite.
I giorni passarono senza che i nostri avventurieri sapessero che fare; il meteorite continuava a rimpicciolirsi misteriosamente, come consumato dall’aria stessa; i professori della Miskatonic University continuarono a venire sempre più perplessi portando via porzioni sempre più consistenti di roccia. Pareva che fosse impermeabile a ogni regola della chimica e della fisica: e che messa sotto vetro scomparisse alla vista vaporizzando se stessa e il proprio contenitore.
Strani animali mutati cominciarono a comparire attorno alla fattoria Gardner, l’erba e le prime querce del bosco assunsero colori stani, vividi e lucenti e cominciarono a vibrare di vita.
Fù papa Lemuel ad avere l’idea della ricerca sfruttando la biblioteca dell’università; convincere il bibliotecario non fu complicato con le giuste parole e la giusta quantità di denaro, altrettanto facile non fu la ricerca sugli antichi tomi.
Freeman era oramai ossessionato nella sua ricerca su Joseph Curwen e suoi contatti con i baroni Delapore e cercò negli annali e nei censimenti dove, al fine, trovò, dopo lunghe ricerche non quello che cercava, ma sicuramente quello che dava risposta a tute le sue domande; Joseph Curwen, unico figlio, nasce il 8 febbraio del 1662/1663 nel vicino villaggio di Salem.
La notizia lo ammutolì.
Papa Lemuel nel frattempo si concentrò su altro, come accrescere i propri poteri sfruttando la conoscenza di una biblioteca tanto antica; le sue ricerche non diedero però buoni frutti.
Così, nella notte; la terza notte, papa Blackmore alzò i propri altari, accese gli incensi, fece i giusti segni col gesso sul pavimento del proprio carrozzone e invitò Teresa e Jeremy ad essere suoi ospiti e addormentarsi serenamente quella notte, avrebbero fatto un viaggio.
Il grammofono venne acceso, la musica fluttuò suadente e tutti si addormentarono cullati dalle note di un morbido jazz; quando riaprirono gli occhi le rassicuranti pareti di legno del carrozzone erano sparite, solo il grammofono e i loro letti erano rimasti.
Una landa vuota fatta di nero marmo specchiato aveva preso il posto del carrozzone di papa Lemuel.
All’orizzonte lontano, sotto un cielo arancione bruciato, sagome nere mastodontiche procedevano lemmi in lunghe processioni come strani animali; sopra di loro uno stormo di creature alate simili a pterodattili volavano in formazione della costellazione del cigno.
Lemuel spiegò loro che si trovavano nel reame del sogno, le Dreemland, e che sapeva di una onirica biblioteca che in quei reami risiedeva, la favolosa biblioteca di Celeano. Li avrebbero trovato molte risposte, per lui il modo di fondere la propria magia con quella degni antichi per rigirare l’occulto potere contro i loro nemici, per loro la risposta a cosa fosse il colore venuto dallo spazio e come salvarsi da esso.
Ma nulla si estendeva fino all’orizzonte; nessuna struttura, nessuna porta, nulla increspava la superficie di quel mare nero e lucido.
Così Jeremy si mise a sognare; immaginò una grande biblioteca con al suo interno tutti i libri del mondo ed un bibliotecario. Un infinito corridoio di libri apparve intorno a loro e un muto anziano dalla pelle nera si fece loro incontro.
Jeremy chiese di un libro che parlasse di stelle di altri pianeti e di meteoriti che da quei pianeti e da quelle stelle potessero essersi staccati e precipitati sulla terra.
Fù accontentato con un tomo intitolato “Le Stelle” e che il giornalista lesse avidamente sull’amplia scrivania che gli venne messa a disposizione.
Scoprì così che se un corpo alieno non reagisce correttamente alla chimica e alla fisica di un pianeta, se pare instabile e tende ad espandersi, allora non di una creatura vivente racchiusa in un guscio di pietra si tratta, ma di un elemento.
Tutte le mutazioni trovate in quei giorni attorno alla fattoria dei Gardner, le bizzarre reazioni chimiche, il colore, si trattava di una reazione chimica ad un elemento estraneo ed alieno che stava lentamente facendo mutare tutto attorno a lui. Dovevano trovare il modo di racchiuderlo in qualcosa che non gli permettesse di evaporare e infestare l’aria ed avvelenare la terra!
Il colore venuto dallo spazio era solo un elemento alieno, un elemento che stava facendo reazione chimica con ciò che aveva attorno come l’ossigeno, la pioggia, la luce del sole!
Lemuel invece era rimasto affascinato da ciò che il bibliotecario gli aveva messo fra le mani.
“Vorrei trovare il modo per unire due tipi di magia, qualcosa che mi istruisca su come fare, qualcosa che mi dica se si può fare. Voglio prendere i poteri degli antichi racchiusi nel libro di Dzyan e fonderli con i miei, essere padrone di un nuovo tipo di magia che non si è mai visto sulla terra; voglio sfruttarli e sconfiggerli con la loro stessa magia” Lemuel aveva saputo dal suo signore, papa Legba, che i poteri dei loa non potevano competere con quelli degli antichi dei; la progenie venuta dalle stelle era molto più antica degli uomini e degli dei che con la fede degli uomini erano nati; venivano da tempi tanto remoti che neppure il saggio Legba ne sapeva qualcosa, pertanto il loro potere era superiore, la loro magia era superiore. I loa potevano aiutarlo, ma non potevano sconfiggerli.
E un libro bianco e vuoto gli era stato messo fra le mani.
Un libro intitolato “La magia nuova”.
Sì, poteva unire due tipi di magia; no, non esisteva tomo in grado di spiegargli come fare; sì, se avesse voluto sarebbe stato il primo a farlo, sarebbe stato l’unico.
Si svegliarono che era l’alba.
Lemuel passò l’intera giornata a scrivere i propri incantesimi ibridi colpito da un fulgore creativo bruciante, lo stesso capitò a Jeremy che scrisse furiosamente su di una bibbia grattata una cronaca di tutto quello che era loro capitato, che avevano scoperto e compreso sugli antichi e la loro progenie; impressioni, idee.
Pranzarono poi in una piccola trattoria alla foce del Miskatonic, il grande fiume limaccioso ai quali margini di ergeva Arkham e da cui l’università prendeva nome. Mangiarono un’ottima e abbondante zuppa di pesce dalla quale però Lemeul si ritrovò presto a scartare teste di uno strano pesce dall’aria disgustosa che in cucina chiamavano “pesce di Innsmouth”. Non passò molto da quando notarono un ometto dai capelli rossi e dai baffi sottili, molto ben vestito e dagli occhi svegli, osservarli curioso dalla vetrina della trattoria.
Invitato ad entrare ed a unirsi a loro l’ometto si presentò come professore di chimica alla Miskatonic, aveva molto sentito parlare del meteorite all’università ma il rettore e i professori più anziani e riveriti erano molto gelosi della scoperta e non lasciavano che nessuno si avvicinasse ai laboratori dove veniva analizzato e studiato ne desideravano parlarne.
Sapeva però che alcuni visitatori inglesi soggiornavano dai Gardner.
Lemuel e gli altri accettarono di accompagniate il chimico al terreno dei Gardner con l’automobile di nascosto al rettore.
Joshua Carter, questo era il nome del giovane professore universitario, si rivelò sinceramente affascinato da quello che ormai restava del meteorite di cui gli elementi e il consumo non avevano lasciato che poco più di un metro cubo di materiale che risplendeva dell’indefinibile colore iridescente.
Il bosco ormai viveva di vita propria, il colore aveva preso possesso dei fiori e dei frutti abnormi che nascevano dagli alberi, l’aria era carica di maligne aspettative, i rami oscillavano come dita di morto allungate al cielo e l’erba era tanto verde da far male agli occhi.
Qualcosa si intravedeva appena sotto la roccia consumata; come un gusci traslucido e fragile che brillava del colore.
Se non avessero agito al più presto quel fragile involucro si sarebbe presto deteriorato e qualcosa di irrimediabile sarebbe successo ai Gardner e al terreno e forse anche ad Arkham, forse all’intera contea.
Ma che ne era stato dei Gardner?
Teresa si era meticolosamente presa cura di loro in quei giorni, cucinando per i bambini e tenendo d’occhio la signora Gardner.
Aveva passato molto tempo a leggere la traduzione de il libro di Dzyan e aveva provato a capire l’utilizzo della magia con Lemuel; le era stato spiegato che al magia voodoo era una religione antica che si basava sulla fede nei loa petro o rada che fossero, ma esistevano mote forme di magia, tutte collegate da una cosa, la convinzione. La magia di Lemuel era scatenata non da lui ma dai loa che venerava, ma altre forme di magia esistevano ed erano altrettanto potenti; il libro di Dzyan era un libro di incantesimi vecchi come l’umanità stessa, ma gli incantesimi altro non erano che un complesso modo per aprire la mente e l’anima del mago permettendogli di squarciare il velo di fronte a lui. In moltissimi credevano che il potere stesse nel rituale, nelle parole e nelle polveri colorate, la realtà era che la magia risiedeva nella mente e nell’anima e se non era in grado di risvegliare quella magia con la convinzione non ci sarebbe mai stato alcun incantesimo in grado di funzionare nelle sue mani. Tutto questo intrigava molto Teresa.
Zenas Gardner diveniva nel frattempo sempre più assente e svanita; sempre più deperita ed emaciata nonostante mangiasse e dormisse regolarmente, fino al delirio che fece preoccupare non poco O’Neal.
La donna bruciava di febbre e svenne ripetutamente fra le sue braccia. Teresa, tornando dalle commissioni ad Arkham, l’aveva infine trovata a frustare duramente il piccolo Merwin nel granaio, colpevole di essere andato a toccare il sasso al quale tutti gli adulti gli avevano proibito di avvicinarsi.
Il piccolo Merwin confesso, fra le lacrime, che al tatto quella che sembrava roccia era malleabile e calda come argilla. Lo sforzo però fu tropo per la madre che ebbe un crollo nervoso che obbligò Teresa a trascinarla a letto dove rimase catatonica per l’intero pomeriggio nonostante le cure dell’infermiera e i suoi infusi.
Non particolarmente migliore era lo stato del signor Gardner.
Nathan Gardner fù trovato immobile nei campi dietro casa accanto al suo mulo a fissare l’orizzonte col figlio maggiore, Taddeus, vicino alla disperazione per lo strano immobilismo del padre. Perfino il mulo ed il cane erano deboli e consumati.
Teresa decise, saggiamente, che non potevano rimanere un’altra notte vicino al colore e fece trasferire tutta la famiglia da un vicino amico di Nathan, Ammi, che risiedeva a poche miglia di distanza, abbastanza da restare fuori dall’influenza del colore venuto dallo spazio.
Così Teresa, Freeman e papa Lemuel caricarono in tutta fretta, con l’aiuto di Carter, la signora Gardner e figli sull’automobile.
Ammi si rivelò essere un ben piazzato e saggio quarantenne che non faticò a capire la situazione e ad accettare quello che il famoso meteorite stava facendo ai Gardner e alla loro terra.
Al ritorno per mettere al sicuro in signor Gardner e i loro averi più fondamentali il buio era ormai calato sulla vallata. Il cane di famiglia tanto amato dal piccolo Merwin era risultato introvabile ma l’unico mulo era invece stato attaccato al retro dell’automobile per sfuggire all’influenza malevola del colore.
L’antica foresta di querce e lecci estrudeva i rami verso la strada di sterrato, il terreno era soffice e insidioso sotto le ruote; Lemuel guidò al meglio delle sue possibilità e più veloce che poteva per fuggire all’ululato che pareva riempire l’intera foresta con una rabbia e una intensità ben al di fuori della normalità di un comune branco di lupi. Un animale dalle dimensioni sproporzionate balzò davanti al veicolo facendo sbandare Lemuel; il mulo dei Gardner muggiva disperato e sfinito dietro di loro quando si spezzò la zampa posteriore in una buca franando miseramente a terra.
Jeremy uscì zoppicando dal veicolo per affrontare le tenebre e slegare il corpo del mulo ormai straziato ed inutile zavorra dall’automobile. La bestia agonizzante venne abbandonata ai lupi e l’automobile col suo carico riuscì a giungere fino al limitare del malsano bosco dove le luci della casetta di Ammi li attendevano occhieggiando così come l’uomo che, armato di fucile e del suo molosso da caccia, li fece entrare velocemente mettendosi di guardia.
I Gardner, padre e figli, si abbracciarono tremando sul piccolo sofà del salotto. Teresa accese un fuoco vivace per la notte, una notte che sarebbe potuta essere spaventosa e mettere in pericolo la vita di tutti in quella casa. Zenas delirava nel letto del signor Ammi parole incomprensibili e piene di terrore e Lemuel pregò silenziosamente i propri dei di tenerli al sicuro quella notte dagli orrori che vagavano nella foresta.
La musica dolce di una chitarra riempì l’aria.
Jeremy suonava, con un po’ di incertezza, una chitarra trovata abbandonata in un angolo del salotto. La musica, un blues dei tempi della schiavitù negra, malinconica e dolce risuonò in tutta la piccola casa e con la musica una preghiera, una richiesta di un nuovo fedele, che il loa delle tempeste non facesse cadere altri fulmini quella notte sul terreno dei Gardner, che nulla disturbasse la fragile e mostruosa cosa racchiusa nella roccia che giaceva nel terreno infetto pulsante di quel colore indescrivibile, racchiusa solo in un fragile guscio opalino.
Lemuel andò alla finestra ad osservare la notte.
I rami dei vecchi alberi ombrosi ondeggiavano e si contorcevano innaturalmente ad un vento invisibile e tutto, tutto, sembrava protendersi verso lo sperduto e indifeso rifugio in mezzo alla foresta.
Ma Lemuel riuscii a scorgere fra i rami la figura di un uomo alto e di schiena, arrampicato ed in piedi su un ramo di quercia osservava l’orizzonte; un braccio si alzò verso il cielo sollevando il cappello a cilindro. Il Barone avrebbe vegliato su di lui quella notte, e qualcun altro si sarebbe occupato di quei venti nefasti scacciando le nuvole da sopra le terre dei Gardner.
La notte passò, inquieta, riempiendo di strani incubi le menti e di scricchiolii sinistri il rifugio, ma passò. L’alba trovò un cielo terso e limpido come mai era stato prima su Arkham.
Il colore non era stato disturbato, i venti avevano spazzato via ogni tipo di nuvola per miglia anche se il guscio traslucido era pericolosamente ora ben visibile e quasi privo di protezioni.
Teresa, che aveva profondamente preso a cuore la famiglia Gardner, sopratutto il piccolo e dolce Merwin, si mise cercare il cane di famiglia risultato introvabile la sera prima inoltrandosi nei fitti e antichi boschi che circondavano la tenuta.
Papa Lemuel e Freeman, con i consigli e l’aiuto di Carter, non perdettero più un minuto, il colore andava seppellito sotto qualcosa che non gli permettesse di far danni.
Si procurarono cemento, catrame e costruirono una struttura di legno; Carter, nel frattempo, andò a parlare con urgenza col sindaco di Arkham e il rettore della Miskatonich University che giunsero a a lavoro finito
Teresa, aggirandosi fra i vetusti alberi dall’aspetto malsano non faticò a trovare il mastino del piccolo Merwin che si rivelò una bestia molto meno mansueta di quanto la ragazza ricordasse. La belva ringhiava con occhi folli, molto più grosso di quanto riuscisse a ricordare e quando le si avventò addosso latrando si mise in fuga.
Il meteorite era stato chiuso dentro la struttura in legno, ricoperto di cemento e, infine, coperto di sei pollici di catrame quanto Teresa comparve, precipitandosi scarmigliata e terrorizzata, fuori dal bosco inseguita a rotta di collo da una belva assetata di sangue. Il mastino venne abbattuto dai due uomini ma Teresa non sarebbe più riuscita ad avvicinarsi ad una cane per il resto della vita e si rifugiò rannicchiandosi nel carro di Lemuel e a nulla valsero le parole dei due uomini per tranquillizzarla.
Quando il sindaco giunse con una nutrita squadra di operai per far rimuovere il velenoso geode trovarono i nostri sfiniti ma irremovibili nel convincere le personalità del posto a mettere al sicuro il colore venuto dallo spazio dove non avrebbe più potuto nuocere a nessuno.
Il colore venne messo in una cassa imbottita di piombo e nascosta sul fondo di un magazzino fuori Arkham mente i nostri trovarono finalmente respiro.
Non ci sarebbe stato nulla di male nel concedersi qualche giorno di tregua prima di riprendere la missione.
I giorni passarono in allegria; Zenas riprese a ragionare velocemente e a riprendere le forze, lo stesso fecero i suoi emaciati e preoccupati familiari; Amni si prese cura di tutti loro mentre la famiglia riversava affetto e sincera gratitudine sui propri salvatori. Le serate erano allegre e piene di vita familiare, le giornate passavano serene nel lavoro e nello studio; Teresa sopratutto legò molto con il piccolo Merwin finché Carter non li invitò a vedere dove il comune aveva sistemato il colore.
Quando arrivarono al magazzino situato a poche miglia da Arkham però il panico li avvolse; la cassa di legno era andata in mille pezzi e il meteorite ricoperto mostrava il suo spaventoso e alieno colore al mondo come un stupefacente geode spaccato a metà il cui cuore risplendeva di cristalli rilucenti. Il colore si era liberato.
Fù col cuore in gola che tornarono alla fattoria dei Gardner.
Teresa si precipitò in casa dove tutta la famiglia stava davanti al camino acceso dandole le spalle.
Ma quando si voltarono, l’orrore più nero e la disperazione attanagliarono il cuore della giovane donna; i suoi amici non erano più riconoscibili come persone, i lineamenti distorti e gli occhi vuoti ma la cosa più spaventosa era il colore che aveva preso possesso dei loro corpi sgretolandoli e crepandoli come fossero statue di argilla cotta. Il colore aveva preso il posto di alcune parti della loro anatomia, dove mancava un avambraccio, una caviglia il colore teneva tutto assieme senza una logica spiegazione. Ma erano vivi, o almeno parevano vivi, si muovevano verso di lei e su di lei si avventarono per primo Merwin che le si scagliò addosso andando in mille granelli fra le sue braccia.
Fù in quel preciso momento che la mente di Teresa O’Neil si spezzò.
Al di fuori della fattoria Jeremy e Lemuel vennero bagnati dalla pioggia, una pioggia innaturale coprì la vallata e ovunque attorno a loro caddero fulmini che fecero tremare la terra. Papa Lemeul si aggrappò con tutto se stesso alla propria magia per non venir spazzato via dall’acqua che cominciò a salire impetuosa attorno a loro, Jeremy si aggrappò al proprio bastone ben piantato in terra con tutte le sue forze ma i flutti li trascinarono tutti e tre lontani dalla vallata di cui ebbero solo, per un tumultuoso, orribile momento pieno di sgomento una visione.
Landa folgorata.
Con nessun altro nome si sarebbe potuta chiamare la distesa di cenere grigia che comparve ai lor occhi. Una vallata di morte che, incessante, estendeva i propri domini come un tumore, come una chiazza d’olio velenoso in un lago fra le antiche e gocciolanti foreste di Arkham; un giorno non molto lontano avrebbe preso anche Arkham, un giorno avrebbe preso l’intera contea, un giorno landa folgorata si sarebbe presa tutto.
Il colore aveva vinto.
I Grandi antichi avevano vinto.
E loro aveano perso.