L’ultimo Beksinsky
Mi ci sono voluti tre giorni per scrivere questo articolo.
Ti avevo detto che sarei andata a vedere “the last family”, il film sulla vita di Beksinski?
Io nemmeno sapevo che esistesse un film sul genio della pittura surrealista visionaria polacca.
Però ero anche l’unica che era lì in quanto fan, di tutti quelli che eravamo nessuno, a parte Maddalena, sapeva chi fosse e cosa stesse per vedere.
Sarà strano per chi non conosce i patiti del cinema di nicchia, i quali vanno a vedere i film in base a quanti premi sconosciuti questi hanno vinto.
È una battuta cattiva, ma un pochino è vero.
Ma il club del cinema polacco “Nuovo cinema Polonia” che ha trasmesso la pellicola lo fa per scopi più alti che non far sentire colti i pensionati con troppo tempo libero, lo fa per creare un ponte fra le culture.
“The last family” non parla delle opere, parla della vita familiare di Zdzisław Beksinski che, come dicevo nell’articolo su Medium, rideva sempre.
Guardando il film ho scoperto che era una caratteristica che straniva anche chi lo conosceva per la prima volta, Zdzisław era un uomo allegro e gentile, senza quei profondi tormenti che ci si aspetterebbe da chi dipinge l’inferno. O almeno apparentemente.
Maddalena, del “nuovo cinema Polonia” mi ha spiegato che il titolo si riferisce alla morte di tutti gli elementi della famiglia Beksinski ; una lunga stirpe che vede la sua fine con la morte violenta di Zdzisław.
Non è un film drammatico, che era esattamente quello che mi aspettavo di vedere, affatto; il regista aveva tanto materiale da cui attingere per ricreare un realismo quasi documentaristico: il suo soggetto registrava ogni conversazione, fotografata di continuo ogni particolare della sua vita, filmava ogni evento familiare, anche i più tristi, anche quelli in cui ci si aspetterebbe che un padre di famiglia intervenisse nel piccolo ambiente di casa.
E poi raccontava ogni suo segreto, ogni suo sogno, ogni fantasia erotica, ogni desiderio con lucidità e un sorriso disarmanti, dimentico di ogni riservatezza, di ogni vergogna, analizzando se stesso con la cruda freddezza dell’uomo freudiano.
Zdzisław Beksinski era un mostro.
Era inumana la sua mente, aliena la sua personalità e totalmente innocente, pura. Io amo i mostri, e credo che solo i geni possono cavalcare la loro natura mostruosa in questo mondo di paure, di orrori, loro sono liberi fedeli a loro stessi e si librano in alto, sopra di noi, lontano nel cielo.
Forse era questo che Zdzisław dipingeva: noi.
Nessun inferno, nessuna visione, ma quello che vedeva dall’alto del suo genio in una vita che era al tempo stesso comune, di successo e assolutamente tragica.
Credo fosse questo quello che Rodzina, il regista, voleva mostrare.
Ci è riuscito? Io direi di sì.
Beksinski non reputava affatto terrificanti i suoi soggetti, e si stupiva quando le persone gli dicevano che la sua arte era spaventosa.
Lui era un mostro sereno, che aveva sconfitto un’infanzia atroce attraverso l’arte e la sua immensa cultura. Al contrario suo figlio era l’uomo tormentato che cercava la bellezza, la stabilità e l’amore nella Polonia distrutta e fredda degli anni 70, 80 e 90.
Tomasz era un uomo, un artista sensibile e fragile che nn trovava pace, un’anima irrequieta e tormentata dalla realtà di un mondo distrutto.
Sarebbe stata una figura odiosa, viziato, scostante, arrogante, se fosse nato dove desiderava lui, negli USA, ma negli USA sarebbe stato un uomo migliore perché felice; e invece è morto suicida, la notte di Natale del ’99.
Suo padre morirà sei anni dopo, assassinato senza motivo dal figlio del suo maggiordomo, e lì, alla fine della pellicola io ho pianto.
Si è destinati a piangere molto quando si ama i mostri, perché nella loro vita arriverà sempre l’uomo che vorrà sconfiggerli, all’apparenza senza nessun motivo, come non c’è nessuna spiegazione nella magnifica e immaginifica arte di Zdzisław Beksinski .