Racconti umoristici

Ladro di bambini

Perchè la stai raccontando? Mi chiede lui.

Io alzo gli occhi dal mio scrivere e lo guardo.

Sta alla finestra che dà sul lago illuminato a tratti dalla luna; le gambe accavallate, la testa enorme appoggiata ai vetri coperti di pioggia in questa sera d’autunno.

Perchè se non lo facessi tutto questo andrebbe perso. Rispondo.

E perchè non lasci che si perda, Sofia?

Non lo posso permettere.

Sai che nessuno lo crederà mai.

Risponde lui, sbuffando lunghe strisce di fumo azzurro dalle narici; io chiudo gli occhi un attimo, sospiro.

Lo so, ma devo mettere in guardia la mia famiglia, devo far loro sapere cosa è successo quella notte, cosa e come è cambiato, devo metterli in guardia…

lui mi guarda con i suoi profondo occhi rossi da mostro, uno sguardo placido, derisorio.

Da te.

Dico.

Lo guardo fisso in quegli occhi fiammeggianti.

Lui mantiene la sua espressione canzonatoria; scuote le grosse corna, e sorride mostrando i denti acuminati nella larga bocca.

Non fui io a farli perdere quella notte Sofia; furono loro a perdersi, e forse a non voler tornare da te. Loro, non io.

Il mostro ride, io abbasso gli occhi mortificata sulla macchina da scrivere e ricomincio a perdermi nel suono martellante dei tasti; coprendo la sua risata.

Come una mitragliatrice torno a scrivere i miei ricordi, crivellando di lettere il foglio bianco che si tinge presto di inchiostro nero. I miei ricordi. I loro ricordi. Come immagino che sia stata quella notte.

Papà, è buio.

Il crepuscolo tinse di arancione lo specchio d’acqua del lago sprigionando una luce irreale sul padre e sul figlio.

Il bosco si fece più buio dietro di loro, riempiendosi di ombre blu e verdi, e fruscii, e scricchiolii.

Il ragazzino è intelligente, e coraggioso, guardò quelle ombre dietro di lui e si accorse che quello non era più lo stesso bosco di poco fa; quello era un altro bosco, più grande, ombroso; un luogo che compariva alla vista e diveniva reale solo con il calare delle ombre.

Alzò lo sguardo e le cime dei pini ondeggiarono nella luce triste del tramonto; parevano salutare qualcosa all’orizzonte, qualcosa che lui, dal suo metro di altezza, non poteva vedere. Parevano gemere, e piangere, prima di venir inghiottiti dal buio che, lento, dal basso, inghiottiva lento i loro tronchi, i loro rami spinosi, una grande bestia affamata.

Il ragazzo non dimenticò mai quel tramonto; sarà la prima volta che il suo piccolo cuore conoscerà un sentimento nuovo, che non è la paura, che non è la tristezza.

Papà?

Il padre guardava ancora il cellulare con una smorfia.

Non sarebbe stata la prima volta che attraversava il bosco al crepuscolo, ma mai con suo figlio accanto.

Non era un sentiero difficile, bastava seguire il lago e tornare verso la strada, ma era lungo e qualunque cosa poteva succedere in un bosco di notte; un passo messo giù male, una storta, oppure scivolare e cadere nelle fredde acque del lago, tutti pericoli reali.

Eppure c’era qualcosa di diverso quella notte. Qualcosa di intangibile e di molto più pericoloso di una storta.

Il padre prese la canna da pesca dalle dita del figlio.

Andiamo Michele, non aver paura.

Guardò negli occhi suo figlio e si accorse che il bambino non aveva avuto paura fino a quel momento, quando gli aveva fatto capire che lui invece ne aveva.

Cercò di recuperare la lenza, ma si era incastrata in qualcosa di grosso sotto il pelo dell’acqua.

Merda

Prese il coltellino da pesca e tranciò il filo.

Arrotolò la lenza sul mulinello in tutta fretta dando ordini veloci al bambino di mettere via le loro cose cercando di non fargli percepire il suo di disagio. Ci provò tornando a parlare, e a camminare.

Ma i super eroi come li hanno avuti i loro poteri?

Chiese il padre al figlio.

Bhè, dipende. Spiderman dal morso di un ragno, Thor è un dio, Hulk diventa verde e gigantesco perchè ha sbagliato qualcosa con una medicina che ha fatto lui.

E Batman?

Batman non li ha mica i super poteri papà.

Ma non li avevano tutti? Non è per questo che li chiamano super?

Il bambino fa spallucce.

No, uno è super perchè fa super cose, mica per forza perchè ha i super poteri. Puoi essere super in tante cose senza nessun potere; Batman è forte e combatte i mostri di Gotam come il Joker, ma non li ha i poteri.

Il padre annuisce, ma non ascolta davvero; cerca di trovare il sentiero con la luce del crepuscolo, quasi scivola in acqua.

É suo figlio a prenderlo prontamente per un braccio e a tenerlo all’asciutto, quel bambino esile lo ha afferrato per il gomito e la camicia e gli ah impedito di cadere. Viene ricompensato con una distratta coccola in testa.

Perchè non abbiamo almeno preso il pesce?

Non c’era tempo Michele, bisogna tornare a casa, mamma ci aspetta e questa sera è un giorno importante per lei.

Che giorno?

Chiede mentre scavalca con impegno una grossa roccia poco sopra di lui. Sembra un cucciolo di lupo, nei suoi calzoncini corti da cui sbucano le gambe magre.

I bambini son sempre cuccioli, anche dopo anni di svezzamento di televisione e videogiochi se troveranno una roccia da scalare la scaleranno, una pozzanghera dove scalciare scalceranno, una tana nella terra e scaveranno.

Oggi è il compleanno di mamma e bisogna festeggiare perchè le donne bisogna festeggiarle quando compiono gli anni, altrimenti diventano tristi.

E perchè?

Tu diverresti triste se noi non ti facessimo il regalo di compleanno?

Il bambino si ferma poco prima di afferrarsi ad un ramo basso per farsi penzolare e lo guarda serio, come se avesse realizzato una minaccia.

Si.

Ecco per le mamme il compleanno è importante come quello dei bambini, perchè invecchiano e diventano sempre più brutte, e grasse, e stanche.

Non sapeva perchè aveva detto così; non sembrava una cosa bella da dire ad un figlio di dieci anni, metteva la sua giovane mamma sotto una luce triste e vigliacca che forse avrebbe rattristato anche il ragazzo.

E infatti il ragazzo si rattrista.

Ma mamma è bella!

Si figliolo, tua madre è bellissima.

Qualcosa si muove nell’acqua.

Ormai gli alberi sono ostacoli e sagome blu contro un cielo sempre più scuro; le rocce sono umide di muschio e il lago non riflette più la luce del tramonto; ora è buio, e freddo, e senza luna.

Il sentiero non si vede più bene.

Cerca di far luce con l’app del cellulare e una fredda luce bianca si sprigiona dal flash del telefono abbagliando una piccola lepre poco più avanti.

Gli alberi paiono ora come disegnati, ritagli di riviste diverse e spiaccicati su di un foglio; inquietanti.

La app è potente e rischiara parecchi metri avanti a loro.

Il padre tira un sospiro di sollievo.

Andiamo Michele, stai vicino a me.

Allunga una mano per afferrare la sua.

Non trova nulla.

Si volta a cercarlo di scatto illuminando tutta la roccia sopra di lui e il sentiero appena percorso.

Il battito del cuore d’un tratto nelle orecchie.

Ormai è buio e la strada è ancora lunga.

Doveva essere una giornata importante, ma potrebbe trasformarsi nel giorno in cui perse suo figlio.

Nel giorno del trentesimo compleanno di sua madre.

L’acqua si muove scialacquando forte, il padre ha un sobbalzo e punta la torcia.

Qualcosa, lontano al centro del lago dove la luce arriva appena, solca l’acqua e crea una scia leggera.

Qualcosa lo guarda, dall’acqua, qualcosa di grosso, di molto grosso, che emerge fino alle spalle.

Occhi di brace. La luce della prima luna vi si riflette con un contorno argenteo.

Un brivido di terrore puro parte dalle caviglie e sale su rapidamente, fino alla nuca; la certezza che quel qualcosa riempia lo spazio fino ad un secondo prima vuoto dietro di lui e gli sfiori il collo col suo alito.

Le orecchie fischiano.

Papà!

Si volta di scatto. Michele è sopra di lui, a qualche metro dia altezza, sospeso, e lo guarda, un sorrisino soddisfatto sul volto.

Guarda! Sono come Spiderman!

L’albero su cui si è arrampicato è contorto e non molto alto.

Al padre prudono le mani; poche volte ha voluto picchiare suo figlio e poche gliene ha rifilate con soddisfazione, ma quella potrebbe essere una di quelle volte.

Scendi!

Abbaia duramente.

Ti avevo detto di starmi vicino!

Il piccolo cambia subito espressione. La sagoma di suo padre è appena visibile dietro al luce abbagliante del cellulare, e, benché lui gli sia sopra, lo fa apparire spaventoso.

Si imbroncia, e intuisce la minaccia.

No!

Posso continuare io?

Alzo gli occhi dalla tastiera e lo guardo stupita.

Hai detto che è inutile.

E continua ad esserlo Sofia; ma non lo è per te, questa è la nostra storia; mia e tua Sofia. Meriti di sapere esattamente come è andata. In tanti anni non me lo hai mai chiesto.

Deglutisco; non lo avevo mai chiesto perchè pensavo non me lo avresti mai detto.

Gli giro la macchina da scrivere e resto sopra di lui a leggere oltre le sue spalle coperte di pelliccia muschiosa.

Il cucciolo si era arrampicato ancora più in alto e guardava suo padre con un’espressione offesa.

Era un bravo cucciolo; anche se allevato, come tutti i figli degli uomini di quest’epoca, da aggeggi tecnologici che sparavano luci colorate e suoni; nessuno mai ad occuparsi di loro, lasciati soli, e ai bambini soli succedono cose brutte.

Mi inabissai e percorsi il lago grattando il fondale e respirando l’aria a pelo dell’acqua melmosa e verde che mi copriva le corna.

Nel buio, nella notte, emersi.

La luna brillava, benedicendo la mia caccia, l’uomo era di spalle e minacciava il cucciolo che, saggiamente, non intendeva scendere dal suo rifugio in cima ala ramo, anzi si arrampicò più in alto facendomi sfuggire un sorriso.

Come dicevo,un cucciolo coraggioso.

Come piacciono a me.

Il mio nome è Badelisk, cacciatore di bambini.

E quella notte i maschi della famiglia di Sofia non tornarono in tempo per il suo compleanno.

Il cucciolo non gridò quando cominciai a scendere sopra di lui lungo il tronco dell’ albero, mi guardò negli occhi e mi chiese se ero un mutante.

Io risposi che si, ero una specie di mutante di bosco.

Porto via i bambini dai genitori cattivi.

Eravamo ormai troppo in alto perchè l’umano potesse vedermi; vedeva solo le gambe bianche del cucciolo

Poi non le vide più.

Gridò, gridò forte.

Sofia piange, le lacrime scendono silenziose e le rigano le guance da donna matura.

Devo smettere? Chiede.

No, no continua; devo sapere.

Non credo che l’uomo capì davvero quello che successe a suo figlio, o che stava per succedere a lui.

Non credo capì mai perchè glielo portati via.

Non capì neppure quando cominciò a camminare nell’acqua del lago, in fuga, da me, da me che mi tenni suo figlio.

Non era un buon padre quello; non era coraggioso, ne audace, ne eroico; non era niente.

Non è vero che tutti i padri per i figli sono eroi, io lo so bene; alcuni passano indifferenti nella vita dei loro figli e non portano nulla, ne nel bene ne nel male.

Alcuni per i loro figli non sono che estranei che solcano le acque nere di un lago di notte, lasciandoli soli, per non tornare da loro mai più.

Quell’uomo che si perse nelle acque del mio lago era uno di quei padri; inutile, scostante.

Perché proprio loro? Chiedo, lasciando che le lacrime si asciughino alla luce della lampada.

Lui scuote l’enorme testa mostruosa e sbuffa fumo di sigaretta dalle narici profonde.

Perché avevo fame Sofia.

Trasalii.

Fame di storie, e di compagnia, e di amore, di figli, di una moglie, di una famiglia; continuò lui.

Anche i mostri vogliono una famiglia.

Mi presi ciò che mi sfamò; il cuore di un uomo con troppo poco tempo per il proprio unico figlio e sua moglie, un uomo che pretende di poter decidere lui quando cogliere i momenti speciali della vita di suo figlio. Che tipo di padre è un uomo così?

Uno che si merita di annegare in un lago.

Lui si alza dalla sedia, scuote le corna, fa schioccare la lingua. Gli abiti di mio marito gli vanno straordinariamente bene per la stazza che ha. Forse gli stanno ancora meglio che a lui. Il suo vecchio maglione, i pantaloni a coste.

Alla porta bussano.

Lui apre, senza fretta, senza paura che possano vederlo per come è davvero, per il mostro del lago che ruba i bambini.

Ciao Michele.

Ciao papà.

Michele lo abbraccia, calorosamente. Suo padre ricambia l’abbraccio.

Di cosa parlavate tu e mamma?

Un anello di fidanzamento alla mano destra, la mano di un trentenne pronto per continuare la famiglia il prossimo maggio, ancora quegli stessi occhi vispi di bambino.

Badelisk si massaggia gli occhi sotto gli occhiali e si ravviva i capelli ormai grigi.

Ricordavamo, parlavamo. Ricordi quella gita che facemmo al lago? Magari no, avevi solo dieci anni.

Michele sorride, certo che se lo ricordava.

Non fù una buona giornata quella vero?

No papà; per nulla. Ma dentro di sé Michele porta un ricordo prezioso; gli alberi che ondeggiano al vento, e la foresta; qualcosa che si rompe dentro di lui e si schiude, come un uovo.

Un viaggio al buio e sfocato come un sogno il ritorno a casa; e mamma, mamma sdraiata per terra.

Un ictus disse il medico, a soli trentanni.

Riconosceva lui, suo figlio, ma non riconobbe mai più suo padre, suo marito.

Mai più.

Ora lasciamo che si riposi; stava scrivendo uno dei suoi racconti, sai quanto le fanno bene.

Miche e annuisce, sbircia dentro e sorride a sua madre, dolcemente, teneramente.

Sofia ricambia il sorriso, triste, disperato, e fa un cenno con la mano stanca.

Ti voglio bene Michele.

Ti voglio bene mamma.

Badelisk; il ladro di bambini, la bestia del lago, la creatura che si è presa suo marito e ha preso il suo posto nel cuore e nei ricordi di suo figlio, accosta la porta.

Le manda un bacio sincero dalle grosse labbra.

Sofia rabbrividisce.

Ti amo Sofia.

Vaffanculo Badelisk; ladro di bambini.

La porta si chiude.

 

Umorismo