Cattivi Libri

H.P. il solitario

Perchè non puoi, davvero, NON PUOI, tenere un blog horror senza mai parlare del solitario di Providence (Rhode Island – USA)

Haward P. Lovecraft (nato il 20/8/1890 – morto il 15/3/1937)

Ok, va bene, forse lo conosci già ma credi davvero che mi limiterò a scriverne vita morte e scritture? Ho già parlato del fumetto edito Vertigo che fonde la sua vita con le sue opere, ma c’è molto di più.

O pensi che ci caccerò dentro anche qualche cosina Lovecraftiana e Chtulosa di cui magari non sapevi?

E poi non dire che non ti avviso, o che non ti vizio!

Si, va bene, c’è sempre il “sapientone” che dice “io di Lovecraft so già tutto!” ne conosco giusto uno, ed è vero, conosce tutto! Ma io non mi toglierò la soddisfazione di parlarti del mio scrittore preferito.

Si amico mio, anche a te che di lui sai già tutto e che me lo hai fatto conoscere.

Perché H. Philips Lovecraft è il più grande scrittore di romanzi horror fantascientifici americano, o fantascienza mitologica.

Un poeta geometrico, un genio ed un visionario; un grande sognatore, ma di incubi.

Dimenticatevi quelli che erano i suoi eroi letterari come Allan Poe.

Lui non lo credeva, pensava di non essere degno, di entrare nell’olimpo degli scrittori, nonostante fosse più prolifico di tutti loro al punto da arrivare a “correggere” i racconti dei suoi amici ed estimatori (ed erano molti, moltissimi anche prima della sua morte anche oltre oceano) riscrivendoli praticamente daccapo senza quasi accorgersene.

Una fantasia così pura ed incontaminata da ogni altro tipo di immaginario letterario che lascia estasiati. Una scrittura arcaica, erudita, ombrosa; un ‘immaginazione così fervida e sconfinata, sebbene raccontata con una scrittura antica come i suoi “protagonisti” (che non erano mai le persone, semmai quelle erano le vittime) una scrittura quasi “brutta” per la sua inflessibilità narrativa, la ricercatezza delle parole che spazia nelle descrizioni accurate all’esasperazione scientifica ( e spesso perfino geometrica) di orrori che, nonostante tutto lo sforzo, sono “innominabili”; ospiti di questo mondo in piccole, casuali pieghe dello spazio non euclidee, nei sogni, negli incubi, nei sentieri labirintici di enormi città sull’orlo della rovina e la decadenza, mai più ritrovati o di lontane, fangose vallate stagnanti delle sconfinate agresti piane americane di fine secolo, dove mangiatori di carne umana, adoratori di antichi Dei siderali e anime disperse dimenticate dalla morte oziano, in attesa.

Si finisce per chiedersi dove terminava la sua fantasia e cosa realmente i suoi occhi vedessero.

Probabilmente vedevano mostri, oppure vedeva quello che c’era davvero, cose che ci sono davvero.

I suoi protagonisti assoluti, i mostri, non erano creature mitologiche che mettessero davanti l’uomo alle proprie incongruenze e colpe, i suoi mostri erano l’opposto, la rappresentazione fisica di quello che lui non riusciva ad affrontare nella vita e nella quotidianità, il sesso, la posizione sociale, la coscienza di se stesso; i grandi mostri, quelli che ognuno di noi, creature atterrite e sole, affrontiamo nella vita. Essi non si limitavano a magiare le persone, prima distorcevano la loro mente, la spezzavano come cristallo, al solo mostrarsi; i suoi mostri erano Dei, creature abitanti delle stelle, erano mastodontici esseri che dormivano e sognavano in città dimenticate dal tempo sul fondo dell’oceano e il quale risveglio spazzerà via il mondo intero, attendendo in luoghi dove col passare di infiniti eoni anche la morte può morire.

I suoi mostri sono molto più antichi dell’uomo, più antichi del pianeta, alcuni sono più antichi del creato, delle stelle, delle galassie, e ballano, pazzi e anatomicamente incomprensibili, al suono dei flauti di Pan, al centro del cosmo.

Lovecraft descriveva ciò che vedeva nei propri sogni; come i Magri Notturni, i Night-Gaunts dall’originale; aveva una cultura ed un’intelligenza fuori dal comune, quasi assoluta, nonché una biblioteca sterminata dei grandi classici della letteratura, posseduta da suo padre e cominciata a consumare all’età di cinque anni; aveva anche una famiglia inizialmente benestante ma poi impoveritasi durante la sua crescita, due genitori morti entrambi folli in manicomio, un nonno erudito discendente di un antico casato inglese appassionato di racconti gotici, una nonna astronoma, una madre che nei primi anni della sua vita lo vestiva da femminuccia perchè desiderava una figlia e gli proibiva di uscire in strada perchè, a sentir lei, “troppo brutto”, e un odio per tutto quello che era moderno inclusa la macchina da scrivere, ma una amore per il bucolico e l’antichità, dalla religione auto prodottasi, il paganesimo. Un bambino di un altra epoca, un uomo di altri tempi, tempi antichi.

Se riesci a trovare la raccolta “Lovecraft -Tutti i romanzi e i racconti” – grandi tascabili Newton dal primo al quinto volume dimmi quanto vuoi, prendi i miei maledetti soldi, ti prego.

L’incubo” – “il Sogno” – “il Mito”; tre cicli che qualcuno vendeva su “Il rigattiere lunare” a 26 euro e che è stato venduto sotto i miei occhi.

(Non valgono niente in realtà, ma in prima edizione sono rari, e quasi introvabili tutti assieme)

Io ho solo il primo volume (avevo anche il secondo della serie, introvabile) trovato, per caso, sotto il bancone della libreria di usato dove lavoravo; erano li, dimenticati da tutti che non sapevano di avere sotto i piedi due tesori. È grazie a quei due libri che ho cominciato a leggere H.P.L.

Io non mi intendo assolutamente di libri di valore ok? Mi limito a leggerli; in questa raccolta c’è TUTTO.

Tutto quello che è stato scritto da lui, dal primo racconto “La Tomba” al “Ciclo di Chtulhu”; a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, due massimi esperti del settore che hanno compilato una accuratissima introduzione, prefazione, bibliografia, note dell’autore e del traduttore, cronologia lovecraftiana (affiancata alla time-line storica di ciò che accadeva nel mondo in concomitanza con la vita dell’autore) e una serie di lettere dello scrittore ai suoi amici che ben mostravano il suo carattere buono e dolce e le sue idee personali sulla modernità.

Quelli erano libri per chi voleva sapere, non per chi voleva svagarsi.

Ma non lasciarti spaventare, sono scritti talmente bene che non rischierai nemmeno di annoiarti.

Ho letto quel tomo una sola volta, e ancora, nonostante la mia memoria da pesce rosso, mi ricordo ogni singolo racconto, ma i miei preferito fra questi sono sempre “La palude della luna” titolo originale: “The Moon-Bog”,

“L’orrore di Martin’s Beach”

“La musica di Erich Zann”

“I ratti nei muri”

e “Il modello Pickman”

Non te li stò a raccontare tutti, se ho fatto un buon lavoro solo il leggere i titoli dovrebbe regalarti un brivido lungo la schiena; sappi solo che “I ratti nei muri” è ciò che ha ispirato (secondo mia personale interpretazione) “I lupi nei muri” di Ghaiman; ma qui non finisce bene, perchè Lovecraft non finisce MAI bene.

“L’orrore di Martin’s Beach” narra di una soleggiata spiaggia affollata di fine milleottocento dove, sotto il sole d’oro e di sangue del tramonto estivo, una lunga trasognata, disperata ma incosciente fila di bagnanti prosegue, in linea retta, verso le acque del mare placido. Uno dietro l’altro, ondeggiando, continuano a camminare richiamati da un suono che è una melodia e uno strazio di madre, camminano verso il fondale sabbioso, camminano nell’acqua, camminano nella loro tomba liquida, camminano annegandosi, come coscienziosi, lenti, suicidi lemming. E nessuno dei centinaia di spettatori, riesce a farci niente. Ne madri, ne padri, ne figli piangenti. Nessuno.

“Il modello Pickman” racconta dell’atroce fine dell’opera dell’artista Pickman, con una scrittura veloce e confidenziale (non molto comune per H.P.L.) un giovane pittore racconta per lettera di questo artista eccezionale che sa trasmettere l’orrore, ricrearlo, immortalarlo nella tela, (d’altronde far paura è un’arte giusto?) fino a fargli domandare se i suoi ritratti non siano solo opera di fantasia. Scoprirà che non lo sono.

Vedi tu.

Ma è un altro il racconto che mi è entrato nel cuore; nonostante “Il ciclo di Cthulhu” (che si pronuncia “Schtulu”) e “Le montagne della follia” siano i suoi cicli più famosi io non li ho mai letti (ovvero, ho letto “Le montagne”, mia madre me lo ha regalato per natale, ma era una traduzione talmente atroce che ho saltato i capitoli) non ne vado fiera, sia chiaro.

Ma altri sono i miei titoli.

“La chiave d’argento”

“Attraverso le porte della chiave d’argento”

e “Il miraggio dello sconosciuto Kadath”.

Il destino di Randolp Carter, l’eroe dei tre racconti qui presenti, misteriosamente ed ineluttabilmente attratto dai paesi del sogno, vagherà per un mondo straordinario, conoscerà Esseri Antichi, gli Altri Dei, il Caos Strisciante, ma resterà sempre alla ricerca di una favolosa città sconosciuta”

Questo recita la prefazione del libro (Super Pocket- Longanesi & Co.)

Mentre lo leggevo, in treno, diretta a Genova, una sera bianca dove la neve cadeva sofficemente ovattando ogni cosa, pochi sedili più avanti a me un donna compilava fogli e fogli di moduli per il 7E30 e altre scartoffie commercialistiche.

Mi ricordo di aver pensato che, se quello che raccontava quel libro fosse stato vero, niente di tutto ciò che stava facendo quella donna avrebbe avuto senso; dare un ordine al disordine, illudersi di riordinare il caos di un mondo così piccolo e ottuso, che niente sapeva d ciò che c’era fuori, della realtà del sogno, del regno di Kadath e dei Gatti lunari. Ma che se avesse smesso di farlo sarebbe stato il nostro mondo ad essere privo di senso, e totalmente soggiogato da altri imperi, ed altre civiltà, molto peggiori, terribili e meravigliose della nostra, sotto un cielo arancio e oro.

Ma mi sono dilungata troppo, ti do il tempo per dormire su quello che ho scritto, tornerò ancora sull’argomento.

Per ora…

Buona ½notte sognatore.

E attento che i Magri Notturni non ti prendano.