Racconti umoristici

Casa di bambola.

È perfetta in ogni suo dettaglio, ogni modanatura, ogni tocco di vernice, ogni tessuto è di pregevole fattura e assolutamente identico all’originale.

Ed è enorme.

Le scale che portano al portone sono lucide e pulite ed il corrimano è in vero ottone, col suo bel ricciolo finale ed il portaombrelli ricavato da un’ampollina di profumo di quelle che si mettevano una volta nelle borsette e si collezionavano. C’è perfino un ombrellino dentro, di quelli di carta da cocktail dipinto di nero.

La porta d’ingresso, in vetro e legno dipinto, non è semplicemente disegnata sulla facciata in legno della casa ma è reale, stranamente socchiusa ed impossibile da richiudere; forse il legno si è gonfiato con l’umidità.

Sembra che qualcuno sia appena uscito, o appena entrato.

La apriamo come si apre un enorme libro; l’intera facciata si spalanca sotto le nostre mani con un cigolio.

Cominciamo dal basso.

Nel grande atrio ogni lucina si è accesa automaticamente perché la casa è collegata alla rete elettrica.

Ogni lampadina della soffitta, ogni lampadario o lumicino da notte si illumina di una calda luce arancione e ognuno ha il suo bel paralume in seta dipinta o in vetro soffiato e, accanto ad ogni stipite o in fondo ad ogni comodino, si può vedere l’interruttore.

Alcune cose sono intagliate apposta per la casa, altre sono oggetti di recupero riadattati con grande fantasia.

Le grandi finestre hanno ognuna di loro le tende e perfino le persiane dipinte di tempera verde (fatte con le palette dei ghiaccioli e il cartone) si aprono e si chiudono, ma rimangono sempre aperte per permettere ai bambini di sbirciare dentro e vedere la casa in ogni suo dettaglio.

La luce dell’ingresso freme a intermittenza.

Sulla credenza c’è un grande specchio di carta d’alluminio e sul ripiano della credenza dai cassetti disegnati (ma ognuno con la sua manopola) laccata di lucida vernice scura c’è un vaso ricavato da un ditale, dentro c’è perfino una goccia d’acqua e un mazzolino di non ti scordar di me fa bella mostra di se orgogliosamente, enorme come un mazzo di ortensie in proporzione a tutte quelle cose piccoline.

Sul grande tappeto, ritagliato da un nastro di seta per capelli, dall’ingresso fino alla cucina ci sono delle piccole macchie di collosa vernice scura che qualche precedente proprietario, forse un modellista, ha distrattamente lasciato cadere dal proprio pennello mentre dava l’ultimo ritocco.

C’è della carta da parati sulle pareti, è carta da regalo incollata ai sottili pannelli di compensato ed è un po’ sbucciata negli angoli in un punto da dove è impossibile vedere la porta di ingresso, come se qualcuno (una bambola con la passione per l’arredamento di interni shabby chic) avesse cominciato a strapparla per rimodernarla ma fosse stato interrotto appena cominciato il lavoro.

C’è perfino una scala a pioli appoggiata per terra. Fatta con dei fiammiferi scapocchiati.

Non deve stare qui; la spostiamo nel ripostiglio sotto lo scalone che porta al piano superiore.

Se potessimo salire le scale vedremmo coi nostri occhi i quadri disposti con ordine geometrico lungo la grande parete, ricavati da carte da gioco versione mignon, di quelle che si trovavano in tabaccheria una volta, e francobolli rappresentanti ritratti di politici, animali e paesaggi folkloristici.

Possiamo intravederle appena ma i quadri posizionati più in basso sono storti, come se qualcuno vi fosse rovinato addosso cadendo dalle scale o venendo trascinato al piano di sopra.

Dalla sala da pranzo al piano di sotto arrivano dei rumori.

Ci spostiamo di corsa ma è tutto perfetto, il grande tavolo è attorniato dalle sedie che però sono tute rovesciate per terra, sei piccoli piatti in vera porcellana sono al loro posto, sul tavolo.

La splendida cucina rustica della casa è la riproduzione fedele di una vecchia cucina a legna. Ha i suoi bei fornelli e il tubo della stufa è ricavato da una cannuccia dipinta col lucido da scarpe.

Se accendessimo un fiammifero e ci procurassimo qualche frammento di carta potremmo addirittura accendere il forno!

Una delle sedie della sala da pranzo è caduta e blocca lo sportello; spostiamo la sedia e apriamo il forno.

Dentro c’è un cane, il microscopico pupazzo di un cagnolino bianco e nero modellato da un piccolo pezzo di legno e ricoperto di ciniglia. É tutto sporco di fuliggine e le zampe sono tutte consumate, come se un bambino le avesse masticate.

É la prima bambola che troviamo.

Dove sono finite tutte le bambole della casa?

Torniamo al primo piano, ne abbiamo altri due da esplorare, il secondo piano e la soffitta.

Qui ci sono le camere da letto: quella matrimoniale per il signore e la signora bambola, la cameretta rosa antico della figlia, quella azzurra carta da zucchero del figlio, il bagno.

La cameretta della bambina è quella che attira subito la nostra curiosità; arredata con gusto eccentrico degna di una principessa orientale. Una collanina di perline di vetro colorate corre per tutta la parete, c’è una libreria dipinta piena di classici della letteratura per bambini, una figurina delle sigarette rappresentante una giungla indiana è appiccicata dietro il letto che è ricolmo di cuscini grandi come l’unghia del nostro pollice con appoggiate sopra figurine di cartoncino ritagliato dalle riviste raffiguranti bambole di porcellana di qualche pubblicità; c’è anche una toeletta fatta con una scatolina da fiammiferi in un angolo e il filo di metallo argentato della chiusura di una bottiglia di spumante fa da seggiolina.

Un orsacchiotto intagliato dal tappo di sughero di una bottiglia sbuca da sotto il letto.

La cameretta è sormontata da un grande armadio di cartoncino, una scatola da drogheria di bustine di tè tutta ornata di volute in oro e disegni stampati raffiguranti animali esotici come scimmiette ed elefanti che deve aver dato l’ispirazione per lo stile della stanza.

L’odore speziato del tè è ancora presente e profuma l’aria.

Apriamo questa piccola meraviglia: ci sono i vestitini dentro, ognuno sulla propria gruccia fatta con una graffetta di metallo!

Incredibile.

Spostiamo le microscopiche scatoline di cartoncino contenenti delle altrettanto microscopiche scarpette di plastica e tocchiamo il fondo dell’armadio che si muove sotto le nostre dita.

Un passaggio segreto collega le stanze delle due bambole bambine.

É stato aperto prima del nostro passaggio perché il pannello di legno che le divideva è sul pavimento della stanza accanto.

La stanza su cui da il piccolo passaggio è quella adibita all’ometto della famiglia.

Per mettere ben in chiaro chi deve stare dove questa è fortemente maschile.

Le pareti sono piene delle figurine dei giocatori di baseball, il tappeto è ingombro di giocattoli: una biglia di vetro come pallone da basket, due figure in legno a forma una di coccinella e l’altra di ape usate solitamente come decorazione per i pacchetti regalo e un bottone da camicia in madreperla trasformato in trottola trapassandolo con uno spillo.

Osserviamo tutto con estremo piacere, sulla testiera del letto laccata di rosso c’è inciso qualcosa in grafia infantile. Prendiamo una lenti d’ingrandimento e osserviamo meglio.

“Aiuto! Ora lui abita qui. É sempre stato qui”

Un messaggio ben strano.

Delle bambole ancora nessuna traccia.

Ma qualcosa fa capolino da sotto il letto.

Lo tiriamo fuori dalla casa.

Sotto ci sono due bambole, una con la camicia da notte rosa, l’altra col pigiamino azzurro.

Ad entrambe manca la testa.

Piccolissimi chiodini da incisore inchiodano le due bamboline a terra.

Turbati ci sporgiamo verso la camera da letto dei genitori.

Severa e vuota.

Notiamo solo ora che le macchie di vernice che avevamo visto in ingresso sono arrivate fin qui, le tocchiamo col polpastrello; è fango.

Ci guardiamo le scarpe.

Sono sporche di fango.

Stupidi che siamo; non ci siamo puliti le scarpe prima di entrare nella casa.

Controlliamo la stanza dei bambini, le impronte arrivano fino alla stanza della femminuccia, poi a quella del maschietto.

La camera dei genitori è la prima che si incontra arrivando dalle scale, la seconda è quella della bambina, la terza quella del bambino; in fondo c’è il bagno.

Ci guardiamo dentro con riluttanza.

Abbiamo trovato la bambola madre. O almeno quello che ne resta.

Dentro la vasca di porcellana, laccata con la tempera bianca e resa lucida dallo smalto per unghie, la bambola sta riversa pancia sotto. La vasca è piena di acqua.

Alla bambola mancano tutti gli arti, la tenda da doccia, la pelle di un palloncino di compleanno blu, è lacerata.

I piccoli abiti a fiori della bambola sono strappati; è stata trascinata fin qui.

Al secondo piano c’è la nursery, lo studio di papà bambola e la stanza per gli ospiti.

Seguiamo le piccole impronte fino al piano di sopra.

La nursery è un macello; tutto è buttato in terra, le tende ricavate da fazzolettini di cotone bianco ricamato sono strappate dai loro supporti e la culla è rovesciata.

La camera per gli ospiti è molto piccola, il letto a baldacchino, una scatola di legno intarsiata che doveva essere l’espositore di un vino pregiato ora pieno di cotone a fare da materasso, è occupato.

La marionetta di un pagliaccio vi è riversa sopra, sbuca dai drappi di velluto del baldacchino.

Le schegge e la polvere di ceramica riempiono il pavimento.

La grossa testa di ceramica dipinta è spaccata a metà, sembra essere stata tirata con forza su di uno spigolo vivo.

La povera vittima collaterale dell’ospitalità generosa delle bambole padrone di casa.

Passiamo allo studio.

All’apparenza è vuoto. La grande biblioteca che ricopre tutte le pareti fino al soffitto è imponente, ogni scaffale è pieno di finti libri dipinti con cura sul cartone e souvenir.

Un vecchio libro rilegato in cuoio grande un palmo è stato intagliato per ricavarne l’ingombrante scrivania della bambola padrona di casa.

C’è un minuscolo calzino da bebè in cotone per terra sul tappeto di lana, il ritaglio di una vecchia cravatta a losanghe; la lampada sulla scrivania, il paralume fatto ingegnosamente con il tappo in plastica rigata di una bottiglia di sherry e il corpo una lucida moneta da un dollaro raffigurante l’aquila dalla testa bianca tenuta verticale da un punto di colla sulla sua basetta di legno, è rovesciata.

Solleviamo la scrivania.

Ci da la schiena, accovacciato in posizione fetale come stesse proteggendo qualcosa di prezioso che gli è stato strappato assieme ad entrambe le braccia.

Le impronte di fango sono dappertutto.

La soffitta.

Ci sudano le mani ma ci tiriamo comunque in punta di piedi per vedere dentro la grande soffitta che domina sulla casa delle bambole.

Una singola lampadina nuda ondeggia piano appesa la suo filo come un impiccato.

Ingombra di scatoloni ricavati da scatolette di legno e cartone che contenevano orologi, anelli e spille. Una collezione di minuscole riviste pornografiche spunta da uno scatolone, la raccolta adolescenziale di papà bambola che non ha voluto buttare.

Strano.

Un busto da sarta fatto col fil di ferro e gli stuzzicadenti, una boccetta cubica di inchiostro da calligrafo che voleva evidentemente venir usata come acquario, un grammofono fatto con mezzo pacchetto di sigarette, un bottone di plastica nera come disco e una campanula essiccata nella glicerina a fare da imbuto, catenelle da signora avvolte ordinatamente su rocchetti da filo come grossi rotoli di catena indispensabili per eventuali traslochi e lui.

Dietro le scatole, dietro il grammofono, appena visibile ci da le spalle una bambola; ha addosso una riproduzione fedele di ciò che indossiamo ora, ha il nostro colore di capelli, la giusta tonalità di pelle e guarda qualcosa sul fondo della soffitta, qualcosa che guarda lui.

Allunghiamo una mano tremante e prendiamo la bambola, stringendola fra le dita umide.

Non avremmo dovuto farlo.

Come l’avessimo svegliata l’ombra nera sul fondo si propaga sulla parete come una macchia di inchiostro in un piatto d’acqua, le sue zampe si allungano ovunque, si piegano e si arricciano, i peli ispidi si muovono e vibrano come parte viva e gli innumerevoli occhi, grandi come capocchie di spillo, brillano fissandoci sotto la luce dell’unica lampadina tremolante un secondo prima che salti fuori dalla casa delle bambole sulla nostra faccia.

La cosa ci morde, striscia, artiglia naso, bocca ed occhi, tempestandoci di dolore e riempiendoci di disgusto fino a farci gridare di terrore.

Cadiamo sul pavimento, urliamo, ci dibattiamo, ma il grosso ragno che abita la soffitta è più combattivo di noi; è riuscito a divorare una famiglia intera, noi siamo il dolce.

Scalciamo e colpiamo la casa delle bambole che si rovescia e si chiude, i mobili, tempestiamo di calci il pavimento gridando fino a lacerarci la gola il ragno ci salta sulla lingua artigliandola con i piccoli uncini al fondo delle numerose zampe e la punge fino a farla gonfiare, fino a farci soffocare.

La bambola ci cade di mano e rotola sul pavimento.

É perfetta in ogni suo dettaglio, ogni piega dei vestiti, ogni tocco di colore, ogni smorfia di dolore è di pregevole fattura e assolutamente identico all’originale.

Fine

Ispirato dalla serie tv DmaX “The haunted museum” di Zak Begans e Eli Rhot.